Ero in giro per la provincia, in cerca di bei posti per scattare delle foto. Ormai eravamo in primavera inoltrata e gli alberi, a questo punto, erano ben coperti di fogliame fresco, generando un’alternanza sulla strada di macchie di scuro, a punti in cui il sole di maggio già iniziava a fare un minimo di effetto di riverbero sull’asfalto non più ghiacciato.
Guidando ad istinto avevo preso direzione nord est rispetto alla città. Un cartello indicante Museo del fossili di Bocca, aveva attirato la mia attenzione ad un incrocio, e mi dissi perché no? Misi la freccia, ed al semaforo, girai verso sinistra entrando, man mano proseguivo la strada, nella Valle del del torrente Alpone.
Proseguendo il mio peregrinare per raggiungere Bocca, ad un certo punto vidi una indicazione per Vestenanova. Il nome per qualche motivo attirò la mia attenzione e senza pensarci nemmeno un secondo presi la deviazione per raggiungere questo posto dal nome così atipico. Non capivo perché, ma più mi avvicinavo e più mi sentivo attratto dal posto, che per altro mi era del tutto sconosciuto.
Fu d’un tratto, senza alcun preavviso, che la sfera protettiva scattò, sigillandomi dentro nella frazione di un secondo. Riuscii a malapena a frenare ed accostare; fortunatamente la strada era praticamente deserta. Che diamine stava succedendo per far scattare il sigillo di protezione in quel modo?
Fermata la macchina, feci un bel respiro, ma qualcosa non andava: l’aria era pesante, odorava di locale stantio, di cantine chiuse da decenni e solo ora aperte. L’occhio l’aveva già colto, ma il cervello no, per cui non capivo quella strana sensazione guardandomi intorno. Ero, quanto meno fisicamente solo: non una macchina, non una bicicletta, un pedone. Eppure molto si muoveva intorno a me. Poi il cervello reagì alla vista e mi resi conto che da dopo la deviazione per Vestenanova l’ambiente era cambiato: alberi spogli, vegetazione poverissima, come se fossimo ancora in pieno inverno. D’accordo che ero a fondo di una piccola valle, ma non era sufficientemente grande da dare adito ad una biosfera diversa da prima dell’incrocio!
Più mi guardavo intorno e meno capivo la situazione: l’unica cosa di cui ero certo, era che il sigillo di protezione era scattato, per cui c’era qualcosa di interessante da studiare. Quindi riaccesi il motore, e prosegui lungo la stradina tortuosa che portava su al paese, posto frontalmente al suo confratello Vestanavecchia dall’altra parte della valletta.
L’aria era sempre più pesante, man mano ci si inerpicava per la stradina che saliva, e questo era sbagliato in teoria salendo l’aria avrebbe dovuto farsi più leggera, ed invece sembrava quasi di avere difficoltà a respirare; sentivo il sigillo protettivo ruggire verso l’esterno: qualcosa o qualcuno stava tentando insistentemente di forzare il sigillo, che però gli teneva fiero testa ruggendomi nella testa come a dire: «vai tranquillo: qui non passa nessuno senza il tuo permesso!»
Proseguo, guidando, e finalmente esco al sole trovando di nuovo un po’ di aria apparentemente meno pesante da respirare, mi immetto nel paese, inerpicato sul costone della collina, vedo una strada nominata Via chiesa e d’istinto la seguo: diventa stretta con curve a gomito e d’improvviso mi trovo un campanile a base quadrata davanti.
«Che diamine ci fa una torre campanaria senza chiesa quassù?» mi domando incuriosito. Scendo dall’auto: il sole di maggio qui non scalda. C’è di nuovo quell’aria stantia, vecchia ed adesso anche fredda. Il sigillo si è ritirato appena entrato in paese, il che significa che quello che c’era in valle non mi aveva seguito fin qui alla chiesa, nulla di strano tutto sommato, visto che la chiesa c’era seppur disposta in un modo del tutto fuori da qualsiasi logica.
Arrivando, ti trovi davanti la torre campanaria, a base quadrata, ma non vedi nessuna chiesa ancora, devi proseguire a piedi e scopri che la torre in realtà è alla sinistra della chiesa. Quello che davvero è anomalo, almeno a prima vista, perché in effetti poi una sua logica ce l’ha, e che il fronte della chiesa non da verso la strada ma verso una, piuttosto ripida, discesa da un colle.
Quindi il fonte della chiesa da sul vuoto. Dal limitare del colle all’avviarsi della scalinata che porta nella chiesa, c’è un piazzale piuttosto stretto. Evidentemente la mancanza di altro spazio ha costretto chi ha progettato la chiesa a giocare sugli spazi anteriori. Così si sommano lo strapiombo, un piccolo spiazzo, una scalinata molto inclinata a scalini molto stretti e si arriva alla …. chiesa ? No o meglio ni: l’ingresso della chiesa, ha un decisamente atipico colonnato che fronteggia l’ingresso. Quattro colonne, apparentemente corinzie, in pietra bianca, probabilmente marmo locale di Verona.
Finalmente passato il colonnato si arriva all’ingresso vero e proprio della chiesa. Riguardando l’intero impianto del fronte, ho avuto il sospetto che, oltre a dover sopperire alla mancanza di spazio, chi ha progettato il tutto, ci abbia anche messo del proprio, per togliere il fiato a chi entrava in chiesa: vuoto alle spalle, pochissimo spazio di fonte, scalinata molto ripida e colonnato imponente. Tutte cose che man mano ti avvicini ti levano un po’ il fiato. Chiaramente non a chi vive qui e quindi vive la chiesa periodicamente, ma per chi viene da fuori questa sensazione di mancanza di respiro c’è ed è forte!!
La curiosità era forte per quel posto, sembrava quasi tangibile, eppure c’era qualcosa di strano. L’aria aveva un odore particolare, non certo aria di alta collina. Ero ormai convito che qualcosa mi aveva attirato li e volevo scoprire chi o cosa e perché.
Dovevo trovare qualcuno con cui parlare di quel posto. Pensai subito al parroco, o al curato, ma era da verificare l’età di entrambi, se fossero stati troppo giovani, non avrebbero avuto memoria storica del posto, se fosse stati troppo maturi, si rischiava di avere ricordi offuscati dalla vecchiaia. L’unica cosa da fare era provare a conoscerli e vedere cosa riuscivo a sapere sulla strana chiesa con colonne corinzie in piena campagna Veronese.
Tornai in paese, ed iniziai a chiedere chi potesse avere informazioni sulla chiesa, passo in biblioteca e trovo della documentazione che raccontava la storia dell’immobile, ma nulla di particolare a riguardo le sensazioni che mi procurava. Il paese risale ancora ai tempi della colonizzazione romana ed ha vissuto invasioni di tutti i generi.
All’invasione barbarica del 476 d.c., con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Il Veneto e Verona, come il resto dell’Italia del nord, venne conquistato degli Eruli, dagli Ostrogoti, ecc. e Vestenanova venne, nella fine del Medioevo, conquistata dagli Scaligeri. Successivamente divenne una proprietà della Repubblica di Venezia per molti secoli.
Vestenanova fece parte della Repubblica di Venezia fino al 1797, quando quest’ultima fu sottomessa da Napoleone Bonaparte e poi ceduta all’Impero Asburgico con il Trattato di Campoformio. Da questo periodo ne segue uno che si caratterizzò con le rivoluzioni indipendentistiche dell’Italia del 1820–21, 1830–31, 1848. Dopo la riunificazione con l’Italia (1866), Vestenanova contribuì alle necessità della nazione come meglio poté.
Insomma era la storia, più o meno comune, a tanti paesini del veneto orientale tutto sommato. Restava da capire cosa fosse successo in quella chiesa, perché qualcosa, di certo, era successo.
Visto che non trovavo altre tracce, oltre ad un antico organo a canne in fase di restauro, mi restavano due fonti possibili: gli anziani del paese ed eventualmente il parroco.
Decisi di iniziare dal parroco: sicuramente doveva conoscere quanto meno la storia più recente, nel senso dell’ultimo secolo, della chiesa, occupandosene.
Lo trovai davanti la chiesa che stava fumando un toscanello, probabilmente aveva appena pranzato visto l’ora, cosa che mi fece comodo. Mi presentai come un turista che si stava informato sul folclore locale, perché intenzionato a scrivere un articolo sulle varie vicissitudini dei piccoli paesi della valle.
Mi disse allora che forse sarebbe stato meglio che parlassi con il vecchio parroco, che, pur in pensione, non aveva voluto lasciare il paese, perché vi era troppo affezionato. La cosa mi piacque perché sicuramente un parroco anziano ne sapeva più di uno giovane, quindi era più facile trovare indizi interessanti sulla chiesa in questione,
Don Carlo, il nuovo parroco, mi disse di attenderlo pure dove ero, che avrebbe visto se il vecchio parroco fosse stato in zona ed avesse voglia di incontrarmi, e detto questo si diresse verso il paese, probabilmente verso l’attuale residenza del ex parroco in pensione.
Dopo una quindicina di minuti arrivo in compagnia di un signore che aveva una età definita tra gli ottanta ed i cento. Un viso pieno di rughe profonde, che a passo comunque fermo e deciso mi veniva incontro.
Mi presentai porgendogli la mano, ma mi sentii scavare dentro l’animo quando mi posò quegli occhi neri come il carbone addosso. Feci giusto in tempo a bloccare la sfera protettiva che stava per scattare: non volevo che il parroco pensasse che avessi qualcosa da nascondere, per cui lo lasciai fare, rendendo la mia aura ben visibile. L’anziano mi guardo e fece un sorriso mesto borbottando: «Ben fatto ragazzo, ben fatto.»
Mi invito in sagrestia, dove liquidò il nuovo parroco senza troppi giri di parole, e dalla reazione di Don Carlo, questi era abituato al comportamento deciso del parroco in pensione, perché non fece storie, ci porse due bicchieri, mise una bottiglia di un qualche vino sul tavolo e andandosene disse solo: «se vi serve qualcosa io sono di la» e lasciò la stanza.
Comincia chiedendo informazioni storiche a riguardo la costruzione, cose tipo anno di inizio lavori, anno di fine costruzione e cose simili. Floriano, così si chiamava il parroco in pensione, rispondeva con dovizia di dati, ma sembrava un grosso gatto in attesa si un succulento topo che passasse davanti a lui da un momento all’altro.
Alla fine decisi di essere diretto con lui, perché di certo non era solo un parroco, di questo ne ero ormai più che sicuro.
«Don Floriano, mi perdoni la schiettezza, ma qui in realtà cosa è successo?» Questa domanda probabilmente, ad un altro, avrebbe dato fastidio, lui invece sospiro come a dire che era ora che mi fossi deciso a chiederglielo.
«Vedi figliolo, visto quello che fai, oltre alle domande, puoi immaginarlo, se ti dico che sono legato ad un giuramento, per cui non posso parlare chiaramente, ma tu hai già capito di cosa mi occupavo vero?». Di nuovo quel sorriso da gatto pronto al balzo.
Ci pensai un po’ potevano essere diverse le cose a cui si riferiva, ma visto che era un prete, dedussi che il giuramento lo aveva fatto verso la chiesa, nella figura di qualche suo rappresentante.
Don Floriano, vedendo i dubbi sul mio volto, cominciò a giocare con un anello che portava al dito medio, «Che strano» pensai, «che ci fa un parroco cattolico con una anello che sembra tanto una fede». Guardai meglio e capii immediatamente: non era una fede normale. Portava inciso un simbolo ben preciso: il talismano di Michele Arcangelo. Quando lo vidi bene quasi sobbalzai sulla sedia e lui di nuovo a sorridere.
Portava il sigillo dei padri esorcisti!!
Dunque il segreto di questa chiesa era che veniva usata, o era stata usata in passato quanto meno, come base per praticare esorcismi. Gli esorcismi vengono visti in modo diverso a seconda di chi li osserva: per un prete sono un rito religioso, per un occultista, non legato ad una fede particolare, è solo un rito per scacciare un’entità che avesse preso ad albergare nel corpo di qualche malcapitato. Sebbene spesso ci fosse una qualche correlazione di causa effetto tra il posseduto e l’entità che lo possedeva.
«Tu sai bene di cosa si tratta, vero?» mi apostrofò Don Floriano: la sua era chiaramente una affermazione e non una domanda, ne volli tentare di inventarmi risposte che si adeguassero alla situazione per cavarmela senza dire nulla di preciso.
D’altronde Don Floriano era stato sincero con me mostrandomi il sigillo. «Certo, direi che non ha senso nascondersi, sebbene operiamo, forse, in modi diversi lo scopo finale comunque è il bene delle persone coinvolte.»
Don Floriano parve soddisfatto dalla richiesta, ed iniziò a raccontare della chiesa, dei locali sotto di essa e di alcuni episodi di esorcismo che, in quei luoghi, aveva praticato. «Sai ragazzo mio, non hai idea di quanti casi di possessione avvengano in questi paesini fuori dalle città, non che le città siano posti poi così sicuri rispetto ai paesini!!».
Aveva ragione: lui, dal canto suo, operava da sempre in provincia, io quasi sempre in città, perché era quello il mio ambiente di vita ordinaria. Probabilmente fossi vissuto nella sua parrocchia, avrei seguito lui, una volta svezzato in famiglia, chi lo sa.
Avevo ancora una domanda che mi girava per la testa, ma non ero certo di potergliela fare: in fin dei conti ci eravamo appena conosciuti, domandare troppo dirette potevano essere fraintese e prese per maleducazione.
Don Floriano mi guardava dritto negli occhi, ma si capiva che con la mente era da tutt’altra parte, per cui si fu un lasso di tempo in cui entrambi restammo zitti a pensare ognuno alle sue cose, finché alla fine sbottò: «allora me lo vuoi chiedere o no?»
Non ero certo parlasse della stessa cosa a cui io stavo pensando, ma a quel punto tanto valeva buttarsi, al massimo non mi avrebbe risposto, «Mi domandavo, Don Floriano, cosa fosse successo in fondo alla valle: stamane, salendo verso il paese, ho percepito chiaramente qualcosa laggiù. Qualcosa di oscuro, di antico che si muove tra i boschi lungo la provinciale, ed a dire il vero ha cercato anche un contatto,
Don Floriano aggrottò le sopracciglia ormai bianche candide: «Un contatto ? Beh non mi stupisce: ha sempre avuto la capacità di sentire chi lo percepisse.» Ovvio, a quel punto che la mia curiosità fosse stata stimolata, ed ero quasi certo che il Don ne fosse consapevole e contento.
Qualcosa mi diceva che non aveva molte occasioni di parlare di queste cose in paese. Di certo non pareva nutrire grande interesse per il parroco che lo aveva sostituito, per cui immaginavo che, o vi era qualche altro esorcista in pensione in zona, oppure passasse il tempo a pensare alle sue precedenti attività studiandoci sopra da solo.
«Posso sapere di chi stiamo parlando Don Floriano ?» chiesi, non dico a bassa voce, ma controllando bene il tono per non sembrare troppo curioso; continuai con lo stesso tono: «mi è stato chiaro da subito che è una entità maligna, ma mi ha stupito che cercasse un contatto e non uno scontro.»
L’ex parroco sorrise mestamente mentre riprese a parlare: «ah lui non attacca quasi mai, preferisce mentirti che affrontarti. È sempre stato così: ha imparato, con il passare del tempo, che è più facile far cadere in tranello un mortale che affrontarlo in uno scontro diretto.»
A questo punto ero davvero curioso: «Lui chi, se posso Don Floriano ?» Il parroco in pensione mi guardò un attimo di traverso, poi aggiunse: «non potrei proprio parlare di queste cose fuori dall’ordine, ma sento che sai di cosa stiamo parlando e che non sei in cerca di guai, ma sei solo curioso nella giusta misura.
Posso solo dirti che è un elementale che ha preso dimora nel fondo valle molto tempo fa. Gli piace il posto evidentemente, ed il fatto che qui si siano fatti esorcismi evidentemente lo fa sentire a suo agio. Il fatto poi che occasionalmente trova qualche stupidito che gli dia bado, non fa che aumentare il suo interesse per l’area. Di certo non è mai salito fino a quassù in paese.»
La notizia era decisamente interessante: un elementale. Uno spirito molto antico legato ai culti ancora celtici e druidici, Tra l’altro questo confermava che la provincia era un’area piuttosto interessante, visto che da altre ricerche e rilevamenti avevo presunto ci fosse un altro elementale, o forse era lo stesso, che bazzicava nelle notte di plenilunio sulle colline intorno Verona.
«È possibile che sia lo stesso elementale che bazzica le Torricelle Don Floriano?» L’ex parroco mi guardò torvo e con un tono quasi scocciato mi rispose: «Perché ? Stai dando la caccia ad un elementale? Se si, per quale motivo? Hai idea di quanto possano diventare pericolosi ?»
Nonostante la risposta secca, sembrava più preoccupato per me, che arrabbiato perché cercassi un elementale. Ripresi quasi senza pensarci: «Quindi stiamo parlando di un elementale di fuoco o di terra?»
Don Floriano mi guardò fisso mentre rispondeva: «Qui stiamo parlando di un Coboldo, sulle Torricelle no saprei: non ne ho mai incontrati li.» Quindi un elementale di terra, in effetti aveva senso: la zona della valle non era vulcanica, per cui una Salamandra, un elementale di fuoco, aveva poco senso che abitasse in basso, a fondo valle. Inoltre la presenza di un Coboldo spiegava anche perché la valle sembrasse cosi desolata rispetto alla zona intorno.
Senza alcun preavviso Don Floriano si alzò, quasi di scatto e guardando l’orologio disse tra se e se più che a me: «Beh si e fatto tardi ed io devo andare.»
Ero quasi sul punto di chiedergli se, in futuro sarebbe stato possibile incontrarci ancora per parlare di certi argomenti, ma anche qui mi anticipò: «beh adesso sai dove sto, se ti servisse qualcosa, per cui posso esserti utile, sai dove trovarmi, non serve che mi accompagni, conosco la strada.»
Non capivo perché fosse diventato così burbero di punto in bianco, non mi pareva di essere stato ineducato con lui o di aver toccato argomenti che sapevo non poteva trattate fuori dal suo giro. Come giustificazione mi dissi che probabilmente l’età assommato a quello che doveva aver visto nella sua attività di esorcista, forse lo avevano reso un po’ nevrotico, per cui il suo atteggiamento in realtà non era specificatamente diretto a me, ma era così lui di suo.
Saluti l’ex parroco mentre usciva di fretta dalla sagrestia e mi apprestai a tornare alla mia macchina, contento in parte per le scoperte fatte quel giorno: non era cosa comune incontrare un esorcista, sebbene in pensione, e pure con voglia di parlare.
Di norma gli ex esorcisti sono persone molto chiuse in se stesse. Vuoi per quello che hanno vissuto, vuoi per quello che hanno visto, vuoi per quello che sono stati costretti a fare negli anni; normalmente si chiudono in qualche monastero di clausura e meditano tutto il tempo che resta loro da vivere.
Don Floriano invece dava l’idea di voler parlare e di farlo a lungo. Magari sarei tornato, nel tempo, a trovarlo per fare altre quattro chiacchiere, non per forza legate agli esorcismi, anche solo per fargli un po’ di compagnia.
In realtà, negli anni abbiamo anche operato insieme in alcuni casi, ma questa è tutta un’altra storia…