Cap. 02 – La Lavanderia del Quartiere
Questo è un caso molto più vecchio, ma molto interessante per le sue implicazioni.
Era una mattina di maggio quando, uscendo di casa, ho notato un drappello di persone ferme davanti al lavasecco del quartiere. Incuriosito, come tutti, mi sono avvicinato per vedere cosa fosse successo. Chiedo ad uno delle persone accalcate li intorno e mi dice che c’è stata una rapina con atti vandalici. La cosa mi suona di per sé un po strana: la rapina ci stava, visto il quartiere, l’atto vandalico, visto la titolare dell’esercizio, no.
Mi avvicino di più, per vedere con i miei occhi ,e trovo un maresciallo dei carabinieri che sta parlando con un suo sottoposto. Cerco di adocchiare la sua bocca, già a quei tempi avevo una discreta capacità di lettura del labiale. Il testo lo traduco dal dialetto altrimenti potrebbe sembrare poco chiaro. “Ok una rapina, appuntato, ma qui c’è qualcosa che non torna: che mai poteva esserci così di valore in una lavanderia, da usare un mezzo pesante per divellere la saracinesca??”
Diedi un’occhiata alla saracinesca ed, in effetti, sembrava fosse stata divelta con un apriscatole dal basso verso l’alto. “Poi l’interno”, riprese il maresciallo, “hai visto cosa hanno fatto alla lavatrice a secco industriale con quello che pesa? “. Cercai di avvicinarmi di più per dare un occhiata all’interno e un brivido mi corse lungo la schiena: lo spettacolo era davvero impressionante.
La lavatrice industriale, di un paio di tonnellate, stava dalla parte opposta di dove era normalmente, rovesciata sottosopra, con i blocchi di cemento che la bloccavano rivolti in alto. Ma quello che mi mise sul chi vive furono i segni lungo le fiancate della lavatrice: c’erano cinque buchi per lato. Disposti come se fosse stata una mano a prendere e bucare quel metallo nell’atto di alzare e rovesciare la lavatrice industriale. E, come ciliegina sulla torta, capi di vestiario, lanciati contata violenza contro il muro da restarci come incollate. Aveva ragione il maresciallo: qualcosa non tornava: assolutamente!
Cercai la titolare del lavasecco e la vidi che parlottava con delle amiche, anche qui puntai la sua bocca per leggere il labiale: “Io non capisco, a chi ho fatto del male tanto da meritarmi questo: solo mettere a posto la lavatrice mi costerà un anno di guadagni. Non parliamo poi della saracinesca, delle vetrate e degli abiti rovinati”. Incrociammo gli sguardi per un secondo. Lei era preoccupata, ma qualcosa nei suoi occhi tradiva le sue parole. Come se sapesse esattamente chi fosse stato a fare quel macello.
Me ne andai, non avevo altro da vedere a quel punto: quello che c’era da vedere l’avevo visto. Ma tutto il giorno l’immagine di quelle “impronte” sulle fiancate della lavatrice industriale continuavano a venirmi in mente.
La sera al mio rientro trovai il solito mucchio di pubblicità nella cassetta, ma guardando bene vidi un foglio che veniva da un quaderno con delle righe scritte a penna. Entrai in casa, posai il mazzetto della pubblicità sul mobiletto a fianco alla porta e presi il foglietto guardando la calligrafia. Era una scrittura femminile, non elaborata; una scrittura “pratica” di chi scrive per lavoro brevi frasi. Chiusi gli occhi e cercai di percepire che energie venissero dal foglio: angoscia, paura, molto freddo, odore nauseabondo. Lasciai cadere il foglio. Chiaramente era qualcosa di legato a uno o più fatti negativi, e pesanti anche. Raccolsi, ed appoggiai sul mobile in sala, il foglietto e mi preparai una bollente tazza di tè.
Pronto il tè mi sedetti in poltrona ed iniziai a leggere quello che c’era scritto sul foglietto: “Caro xxx” e qui iniziava già male: era il tono di qualcuno che mi conosceva; “ho bisogno di aiuto per mio figlio che si deve essere cacciato in un guaio di quelli che puoi risolvere solo tu”. Era la titolare della lavasecco, con la quale a dire il vero non c’erano grandi rapporti, non abbastanza forti da iniziare una missiva con “caro”. Cosa fosse successo non era specificato, solo diceva che il figlio doveva essersi imbarcato in qualcosa più grande di lui e che quanto accaduto nel suo negozio aveva a che fare con il suo problema. Il foglietto terminava con un “se credi di poterci aiutare in questo ti lascio il mio numero di telefono e chiamami quando credi sia opportuno a qualunque ora”; seguiva il numero di telefono scritto sempre a penna.
La chiamai subito: era chiaramente molto tesa, e mi chiese se potesse raggiungermi a casa mia per potermi spiegare bene il problema. Le dissi di si, ma di darmi almeno un po’ di tempo per farmi una doccia visto che ero appena rientrato.
Dopo circa 45 minuti suonò alla mia porta, la feci accomodare. “Allora Mara (nome di fantasia) raccontami tutto” le dissi. Il racconto fu lungo ed accurato, ve lo riassumo: il figlio aveva da poco tempo iniziato ad interessarsi all’occultismo. Niente di grosso: le solite sedute fatte con la tavoletta ed il bicchierino o fatte con un amico ‘medium’. La sera prima della presunta “rapina” le aveva detto che si sarebbe incontrato con questi amici in negozio perché la casa solita non era disponibile.
La Mara, sicura del giudizio del figliolo, le disse che poteva farlo, ma di non fare troppo chiasso perché sopra il negozio abitava una famiglia e non voleva lamentele. Quando al mattino successivo si è accorda che il figlio non era rientrato a dormire era uscita di corsa verso il negozio con un sentimento di angoscia per la sua assenza e trovò quello che io stesso avevo visto la mattina. “Mara ti renderai conto che per fare quello che è stato fatto nel negozio serve molta forza… e uno spirito chiamato in una seduta spesso non ha nemmeno la forza di materializzarsi davanti ai partecipanti: li hanno chiamato ben altro che uno spirito di un defunto.”; Mara mi guardò molto preoccupata mentre mi chiedeva “come ben altro ???” chiese lei; ero indeciso se fare discorsi chiari e diretti o cercare di girarci intorni, d’altronde non sapevo ancora esattamente di che si trattasse. “Beh Mara, sicuramente qualche entità molto forte, tanto forte da poter interagire con la materia nella nostra dimensione.”
Mara stava per dire qualcosa ma la anticipai: “devo andare sul posto per capire di che si tratta ed anche parlare con tuo figlio.” Mara era ancora più nervosa “il problema è che Alessio non è più rientrato da ieri sera: l’ho sentito al telefono da casa di un amico, ma sa di aver fatto qualcosa di sbagliato ed è terrorizzato; non vuole tornare a casa perché troppo vicina al negozio.” sbotto lei. Ci pensai un attimo su, poi le dissi con la massima tranquillità espressiva che mi riuscisse: “ Mara capisco la paura del ragazzo, ma devo parlare con lui.
O con lui o con chi ha condotto il gioco ieri notte. Se non lo faccio sarà difficile aiutarlo”. Mara ci pensò un attimo poi prese il foglietto ancora li sul mobile ci scrisse un indirizzo ed un numero di telefono: “ ecco lo puoi trovare qui: è casa di Giovanni. L’amico con cui si sta occupando di queste cose da qualche tempo.” Dissi a Mara di non preoccuparsi e che avrei contattato il ragazzo l’indomani mattino, le dissi anche che se il ragazzo ne avesse avuto bisogno avrebbe potuto contattarmi anche durante la nottata.
Mara sembrò rilassarsi un attimo, tanto che mi sentii colpevole a dire quello che le dissi subito dopo. “Mara, credo non serva dirti che devi stare lontana dal negozio finché non sistemo le cose”. Le si dilatarono le pupille degli occhi: “ma io devo riprendere a lavorare” protestò. Cercai di calmarla facendole presente che qualche giorno sarebbe passato prima che avessero fatto le riparazioni del caso; l’importante che stesse lontana dal negozio nelle ore di buio fino a cose sistemate. Mara se ne andò. Io in preda alla solita frenesia di questi incarichi mi vestii ed uscii per andare al negozio. Erano ormai passate le undici, quindi avevo circa sei ore di tempo prima che sostare nel locale diventasse pericoloso.
Fortunatamente il negozio dava su una strada poco frequentata di sera, per cui mi appostai vicino alla palazzina ed aspettai che non ci fosse nessuno per strada. A quel punto entrai nel locale. Mi fermai appena dentro: freddo, sentivo un freddo polare, ed eravamo a maggio inoltrato; ma sapevo benissimo che quel freddo non era dovuto alla temperatura della zona: era un freddo arcaico, profondo, oscuro. Lanciai la mia rete psichica a casaccio nel locale per vedere se colpivo ‘qualcosa’, ma nulla vi restava dentro.
Eppure sentivo ‘muoversi’ qualcuno li dentro. Qualcuno che si muoveva rabbioso come un leone in gabbia. Ed era qualcuno di molto forte, molto antico. Uscii ed accertandomi che nessuno mi vedesse, dipinsi dei sigilli a cavallo dello squarcio della saracinesca. Almeno per quella notte, qualunque cosa fosse non avrebbe potuto uscire da li, salvo qualche imbecille non lo evocasse a farlo!
Tornai a casa, e mi misi a letto. Non pensai all’entità, cercai la calma della meditazione per prendere sonno: l’indomani sarebbe potuta essere piuttosto pesante come giornata, per cui era meglio riposarsi bene.
Suonò il telefono: “ ma che ore sono???” mi chiesi nel sonno. Allungai la mano e presi la cornetta “Pronto?” biascicai così assonnato che nemmeno io capii cosa avessi detto. “Ciao, scusa l’ora, sono Alessio; mamma mi ha detto che potevo chiamarti se serviva”. Riuscii finalmente a mettere a fuoco nel buio gli occhi, e guardando la sveglia realizzai che erano le tre di mattino. “Che succede Alessio” dissi con voce più chiara, e mentalmente aggiunsi “… di così grave da tirarmi giù dal letto a quest’ora della notte!!”.
La voce di Alessio era un sussurro: “Non lo capisco: sentiamo voci nella stanza, rumori che non sono propri della casa e quando cerchiamo di metterci a dormire spegnendo la luce, entrambi abbiamo la sensazione che qualcosa/qualcuno si muova per la stanza.”
Mi venne un dubbio “Alessio, non avrete mica fatto qualcosa di molto stupido stanotte vero?”. Dall’altra parte della linea silenzio. “Alessio “ insistetti, “Beh abbiamo cercato aiuto dallo spirito guida di Giovanni, ma lui continuava a ripetere ‘sventura agli stolti, sventura agli stolti”.
Sorrisi tra me e me: era tipico degli spiriti guida cercare di imprimere una lezione spaventando chi assistevano. “Alessio, ascoltami bene:” gli dissi, “adesso andate a letto e riposatevi: le tre son passate per cui non correte più rischi. Vi aspetto domani sera a casa mia quando rientro dal lavoro, alle sei. E vedete di farvi trovare: non abbiamo molto tempo per sistemare questa faccenda. Chiaro ?”. Alessio rispose di si e mi salutò scusandosi ancora per l’ora. Ed io sorridendo all’idea dello spirito guida che li spaventava ripresi sonno.
L’indomani la giornata passò piuttosto tranquillamente sino a termine lavoro. Rientrando trovai Alessio con il suo amico Giovanni li che mi attendevano, sotto casa, come concordato. Erano chiaramente nervosi: continuavano a guardarsi intorno con fare sospetto, mi venne il dubbio che nemmeno sapessero che aspetto avessi, ed in effetti non era una cosa di cui mi ero preoccupato la notte prima. Li feci accomodare, mi sistemai un attimo e davanti una birra chiesi loro di spiegarmi che diavolo avessero combinato.
Praticamente hanno letto da qualche parte di un rito, chiamato non tecnicamente “il rito della catenella”; praticamente viene usata una catenella, di solito benedetta, ossia quella che di solito i cattolici portano al collo con appesa un piccolo crocifisso, viene posta a forma di triangolo con la punta verso il “basso” ossia verso chi fa l’evocazione. Quello che i due furbi non sapevano era che il triangolo posto verso il “basso” viene usato per invocazioni demoniache e non di spiriti positivi o parenti defunti. Non avevo idea di chi avesse dato loro questa informazione: se un incosciente in vena di scherzi di cattivo gusto, o di qualcuno ignorante nella materia, convinto davvero di non fare nulla di pericoloso. Chiarito che tipo di evocazione avevano fatto, restava da capire chi avessero invocato, o quanto meno chi avesse approfittato della loro stupidità. La gerarchia demonica non è propriamente composta di quattro gatti: in maniera molto succinta si può dire che i demoni si dividono in 6 categorie:
Demoni del Fuoco, che abitano le regioni + lontane; Demoni dell’Aria, che volano intorno a noi; Demoni della Terra, che si mescolano agli uomini nel compito di tentarli; Demoni dell’Acqua, che vivono nel mare e nei fiumi provocando burrasche e naufragi; Demoni sotterranei, che determinano i terremoti e le eruzioni vulcaniche, si celano nei pozzi e tormentano i minatori; Demoni delle Tenebre, che devono il loro nome al fatto che vivono lontani dal sole; I demoni più noti classificati sono settantadue. Vi renderete conto quindi che se non si sa chi fu invocato, capire chi fosse non era proprio un gioco da ragazzi.
Certamente si poteva scremare la lista: era ovviamente un demone rabbioso e fisicamente potente, nel senso con una forte capacità di interagire con il nostro livello della realtà. Ma pure cos’ ne restano più di una ventina, e muoversi senza una quasi certezza poteva rivelarsi una cosa assai pericolosa.
Cercai di farmi dare quante più informazioni possibili dai due ragazzi: lo scopo dell’evocazione, cosa avevano chiesto al demone, ma sopratutto cosa avessero fatto per farlo alterare in maniera così violenta. Qui le cose si fecero più confuse: vuoi per la paura di dirmi la verità, vuoi perché davvero la paura aveva offuscato la loro memoria, non parevano d’accordo quasi su nulla. Quel punto avevo una situazione quasi chiara, ma nessun elemento su quale demone fosse stato invocato, ma sopratutto perché.
Dissi ai ragazzi di restare aspettare mentre preparavo un sigillo per ognuno dei possibili demoni che potevano essersi accasati.
Di chiaro c’era solo la potenza che era stata impiegata per fare quel disastro: tanto potere non poteva essere usato da una entità minore. Era chiaramente un demone e pure tosto. Finii di preparare i sigilli, chiedendo al contempo se ne avessero usati durante la seduta; ovviamente la risposta fu negativa, anzi peggio ancora la risposta fu qualcosa tipo “Sigilli? Cosa sono?”, La stupidità dell’essere umano in questa situazioni, mi lasciava sempre perplesso: in tanti anni avevo visto spesso situazioni simili, e quasi sempre il danno era stato generato dall’ignoranza dei partecipanti alle sedute. La stragrande maggioranza di queste persone era convinta di usare una specie di ‘telefono astrale’ con il quale chiamare l’aldilà. Quindi sedute ed invocazioni senza alcuna protezione: ne cerchi di contenimento, ne sigilli di protezione, insomma nulla di nulla. Poi toccava a me o altri come me porre rimedio ai danni conseguiti, sempre quando chi aveva fatto il pasticcio conoscesse qualcuno in grado di risolvere il problema.
Gente meno fortunata ci aveva lasciato la pelle a ‘giocare’ con certe cose.
L’ora si faceva tarda ed i sigilli ormai erano pronti. Dovevo solo decidere come operare: con i ragazzi o senza. Di certo si sarebbero meritati di essere presenti così da rendersi conto che rischio avevano corso; ma al contempo averli tra i piedi poteva essere un grande problema se avessero perso il controllo. Li tenni sulle spine sino al momento di iniziare il lavoro, a quel punto senza preavviso indicai Alessio, “Tu, viene con me in negozio” poi senza nemmeno guardarlo, “tu invece resti qui e non ti muovi finché non ti dico io che è tutto a posto.
Alessio, chiaramente nervoso ed a disagio, mi si mise alle costole come un cane bastonato: non era l’atteggiamento migliore per affrontare un demone, ma se doveva imparare la lezione così doveva essere.
Ormai si erano fatte le due di mattino, raggiungemmo il negozio e vi entrammo chiudendoci la porta alle spalle. Avevo intimato in maniera chiarissima a Alessio di parlare mai, salvo no lo avessi esortato a farlo e solo per dire quello che gli veniva richiesto. Il negozio era buio, la corrente non era stata ancora ripristinata e quell’odore di fogna che avevo sentito il mattino era ancora li, ancora più soffocante se fosse possibile, del mattino stesso. Chiesi a Alessio dove esattamente fossero al momento dell’evocazione, e lui mi indicò il bancone della cassa: in effetti illuminandolo con la torcia, era ancora visibile il segno del triangolo formato con la catenina che scaldandosi aveva impresso come un marchio sulla formica. “La catenella che avete usato era tua o di Giovanni?”. Quasi a non voler infrangere il silenzio che aleggiava cupo nel locale indicò se stesso. “L’avete trovata poi o l’avete lasciata qui?” di nuovo Alessio senza dire parola si mise una mano in tasca ed estrasse un piccolo pezzo di stoffa appallottolato, svolto il tessuto c’era quello che restava di una catenina d’oro. Gli dissi allora di metterla esattamente dove era messa durante l’evocazione.
Lui lesto eseguì, ma con la fretta di chi vorrebbe essere altrove: la depose in posizione di triangolo e fece un balzo indietro per allontanarsi, quasi temendo che dal bancone potesse uscire una mano ed afferrarlo per trascinarlo chissà dove! “Ed ora Alessio, il nome di chi o cosa avete evocato: solo il nome!”. Alessio mi guardò con uno sguardo terrorizzato, ma fui fermo nella mia richiesta e lui cedette nonostante l’evidente terrore che lo attanagliava: “Beleth” sussurro soltanto. “Stupido ragazzino, lo hai invocato per avere una ragazza vero?” dissi mentre gli assestavo uno scappellotto sulla nuca. Alessio avvampò di un rossore evidente sul viso.
Estrassi il sigillo di Beleth e lo posai sul segno del triangolo, e disegnai un cerchio di protezione sul pavimento. “Alessio, qualunque cosa accasa, qualunque cosa tu veda, non uscire mai da questo cerchio se non sono espressamente io a dirtelo: hai capito bene ?”. Alessio fece cenno di si ormai tornato pallido come un cencio. Finito il cerchio di protezione, cominciai ad invocare Beleth.
Non passò molto che il triangolo sul bancone iniziasse a fumare di un odore di carne bruciata, poi folate di fumo denso ma chiaro ci avvolsero fermandosi però al limitare del cerchio di protezione. Alessio sembrava sull’orlo di una crisi isterica: “no, no, no: non di nuovo no” continuava a ripetere. Lo ammonii di nuovo sul fatto di non uscire per nessun motivo dal cerchio. E fu in quel momento che Beleth si fece udire: prima nella mia testa, poi anche dalle orecchie: “mago: perché proteggi questo stupido umano?
Contro di te, per ora, non ho nulla: ma la sua anima” chiaramente si riferiva a Alessio, “ormai è mia!” Alessio ormai era sull’orlo dello svenimento, per cui lo feci sedere all’interno del cerchio affinché, fosse semmai svenuto, non finisce fuori dalla protezione. “Il ragazzo mi ha invocato per una donna: ed io gliela darò, ma il prezzo da pagare ti e noto, mago, ed il pagamento non è opzionale”. Tirai un sospiro di sollievo: la ragazza non era ancora stata, carnalmente, con Alessio dopo l’evocazione, quindi c’era ancora speranza. “Ascoltami grande Beleth, conosci le regole meglio di me sicuramente: il ragazzo non ha consumato il tuo dono ancora, per cui nessun obolo ti è dovuto”.
Non feci in tempo a finire la frase, che un boato quasi ci squassò i timpani. “Non osare dire a me, mago, cosa è dovuto e cosa no”. L’aria iniziò a turbinare come se fossimo al centro di un uragano in via di formazione: i mobili scricchiolavano, pezzi di indumenti roteavano intorno a noi a velocità sempre maggiore. E l’olezzo aumentava di secondo in secondo. Pregai solo che non volesse mostrarsi fisicamente o Alessio avrebbe tentato la cosa più stupida: ossia fuggire, ma al momento che avesse messo un solo centimetro della sua carne fuori dal cerchio sarebbe stato del tutto perso. Pregai in cuor mio che Alessio ricordasse le mie indicazioni, affinché non dovessi preoccuparmi anche di lui. La stanza iniziò a vibrare come se qualcuno avesse preso con un’enorme mano il tetto della palazzina e tentasse di strappare il locale dalla sua sede.
Alessio ormai era piegato su sé stesso, in posizione fetale, singhiozzando senza ritegno. “Beleth: il frutto dell’accordo non è stato consumato ti ripeto; non puoi chiedere nulla in cambio, e devi lasciare questo ragazzo al suo destino.” insistetti ancora più fermo nella voce. “Mago stai rischiando di diventare mio nemico: è questo che vuoi per questo ragazzino imprudente?”
Beleth tentava la via dell’inganno: cercava di spaventare me così che lasciassi a lui Alessio. Cominciai a pronunciare il rito di allontanamento: non essendo stato consumato il dono di Beleth, quest’ultimo non aveva modo di contrastarmi ne di imporsi sul rito. Tentava solo di spaventarmi con effetti speciali tipici dei demoni: visioni orrende, odori insopportabili, suoni odiosi da ascoltare, ma io avevo già eretto la mia sfera difensiva che filtrava il tutto.
Passarono solo quindici minuti, ma per me e Alessio sembrarono quindici ore. Alla fine la prima luce dell’alba iniziò a filtrare dalla vetrata del negozio: era fatta! Con la comparsa della luce, senza aver ottenuto una conferma di ‘donazione’ dell’anima Alessio era al riparo. Beleth lanciò un’ultima minaccia, verso di me questa volta: “Mago: mi ricorderò di te ed in una notte buia di luna nuova verrò a trovarti”.
Sapevo che era una minaccia vuota: senza aver mai pronunciato il mio nome, il demone non aveva possibilità di rintracciarmi una volta che se ne fosse andato. Aumentai il volume mentre, incessantemente, continuavo a salmodiare il rito dell’allontanamento. Alla fine Beleth cedette con un urlo che di umano non aveva nulla e sparì.
Il vento cessò, in effetti non era mai iniziato, gli oggetti si posarono. Insomma tutto era tornato come quando entrammo qualche ora prima. Alessio non era in grado di dire una sola parola. Gli dissi, cercando di calmarlo, “e tutto a posto adesso: devi solo assolutamente non avere rapporti carnali con la ragazza oggetto dell’evocazione sino alla prossima luna nuova, ossia non prima di ventotto giorni da oggi. É chiara quest’unica regola? Se la infrangi avrà vinto lui e tutto il lavoro fatto stanotte non sarà servito a nulla.”
Alessio mi guardò come per dire che tutto aveva in mente tranne che la ragazza in questione al momento, e rispose con un tremulo “si”. Per essere sicuro pensai di fare un incantesimo di impotenza che durasse un mese… giusto per dormire tranquillo.
Presi le mie cose, afferrai Alessio per un braccio e lo strattonai fuori visto che sembrava paralizzato. Lo portai a casa mia dove Giovanni aspettava piuttosto teso: dava l’impressione di non aver affatto dormito nemmeno lui quella notte, ma se così fu, ben gli stava: così imparava a giocare con cose che non sapeva affrontare.
Certo restava il problema dei danni nel negozio: ma a quelli io non potevo porre rimedio, ed anche avessi potuto non lo avrei fatto in ogni caso, non era compito mio!