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Cap. 04 – Giocaci E Giocaci Ancora E Finirai Per Farti Male !!



Conobbi Mara in quanto amica di Sabrina, l’allora fidanzata di un mio carissimo amico; Sabrina era già di suo attratta dal paranormale, ma in modo piuttosto classico: superficiale, senza cognizione di causa e senza la minima idea di in che razza di guai potesse cacciarsi.

Mara invece, seppure cercasse di dare la stessa impressione, avevo già inteso che ne masticava molto di più: se per scelta o per esserci stata coinvolta all’inizio ancora non potevo saperlo.

Ci vedevamo spesso nell’ufficio di Mara, nel pomeriggio al rientro dal lavoro, sino a quel pomeriggio in cui rientrando invece direttamente a casa, trovai un disastro; abitavo allora in appartamento su due piani in felice condivisione di una entità che non aveva, sino a quel momento ancora, deciso di farsi riconoscere, per cui la casa era spesso oggetto di attività piuttosto strane all’apparenza; ma sapendo di cosa si trattasse, non mi creava grossi problemi.

Sabrina lo sapeva ed ovviamente aveva raccontato tutto a Mara, la quale all’apparenza non sembrava, più di tanto, colpita.

Quel pomeriggio rientrai in casa e, appena varcata la soglia, mi fu subito chiaro che qualcosa era successo: qualcosa che non era nelle solite attività, più o meno, strane che il mio coinquilino era solito fare durante la mia assenza.

La prima cosa che notai, guardando in alto, sopra i tre gradini necessari, per passare dall’ingresso all’entrata vera e propria, fu il materasso del mio letto matrimoniale, appoggiato alla ringhiera della scala che portava al primo piano, e già questo mi lasciò piuttosto perplesso!

Entrai in sala, che era diritta proseguendo dall’entrata davanti a me, e non vidi il grande tavolo rotondo, recuperato da un venditore di mobili usati quando attrezzai la casa appena mi ci sistemai. Mi chiesi dove potesse essere, ma subito dopo sorrisi pensando al fatto che se il materasso era al piano terra, molto probabilmente il tavolo stava al piano di sopra; è così era in effetti: appoggiato a gambe all’aria sulla, ormai nuda, rete del mio letto.

Finii il giro della casa per farmi un’idea di che altro ci fosse fuori posto, ma avrei fatto prima ad elencare cosa era rimasto al suo posto, visto che circa l’80% della mobilia ed attrezzistica varia non era più dove doveva essere. Controllate le poche cose di valore che avevo in casa, come l’impianto stereo, il computer, in quegli anni valeva una piccola fortuna, tutte le radio del mio hobby preferito e per ultimo un tavolino basso cinese con la base completamente lavorata in madreperla e pietre dure, sopra il quale troneggiava un supporto con due katane di misure diverse che, per un collezionista, sarebbero bastate a giustificare l’eventuale furto con scasso, scasso che per altro non c’era stato!

Cominciò a montarmi la rabbia: escluso il furto ed esclusa la possibilità che fosse stato il mio ospite restava solo una possibilità: qualcuno/a si era divertito a giocare con qualcosa che avrebbe fatto meglio a non infastidire; chissà come mai i nomi Sabrina e Mara mi vennero in mente senza alcuno sforzo. Mi fionda fuori di casa e raggiunsi le signorine all’ufficio di Mara, che era nemmeno un chilometro da casa mia. A dire il vero mi aspettavo che la Sabrina, coraggiosa come la conoscevo io, non si sarebbe fatta trovare, ed invece era li.

L’accesso all’ufficio della Mara era uno stretto corridoio all’inizio del quale c’era, sulla sinistra, l’accesso ad un ufficio di un’altra attività con il titolare della quale la Mara divideva la spesa dell’affitto; ma avevano due lavori del tutto diversi: nulla in comune o che potesse portarli in contrasto per questioni di lavoro. «Ragazze!» ringhiai, dirigendomi a passi pesanti verso il loro ufficio, «che diavolo avete combinato a casa mia?» finii di domandare mentre spalancavo la porta dell’ufficio. Beh chiamarlo ufficio ci voleva del coraggio: un locale anonimo di 3 metri per 5, una vecchia costruzione dai muri molto alti totalmente tinteggiato di bianco, quel bianco che richiama subito alla mente gli altrettanto vecchi e fatiscenti locali dell’ospedale antico della nostra città. Un paio di scrivanie, sicuramente provenienti dall’Ikea, posizionate ad elle cercavano di sfruttare quel poco di spazio che restava una volta sistemate le stampanti semi industriali e le postazioni di lavoro con i vecchi gloriosi Mac.

Appena aperta la porta, trovai quello che, in fondo sapevo già di trovare: Sabrina messa di schiena con il terrore di guardarmi in faccia, Mara al suo posto con il suo solito bellissimo sorriso che sghignazzava, non sapendo cosa l’aspettasse ovviamente. «Non voglio nemmeno sapere cosa avete combinato» iniziai saltando i saluti giusto per far capire che facevo tremendamente sul serio, «adesso prendere i vostri egregi fondo schiena e li portate immediatamente a casa mia e sistemate il casino che avete combinato!»

Avevo cercato di usare un tono duro e tagliente, che non lasciasse la più piccola possibilità di intendere che non facessi sul serio, ma Mara sorridendo mi rispose «Ma è davvero così grave la situazione?» Mara aveva quel sorrisino che tante volte le avevo detto che ricordava il musetto di un gattino in cerca di discolparsi della marachella appena combinata. Mi misi a sorridere, era impossibile resisterle quando faceva così! Ma ero intenzionato anche a non fargliela passare liscia questa volta. «Fai pure la gattina, ma intanto prendi il culo, la tua socia e filate a casa mia: quando rientro tra un paio di ore voglio trovare tutto come era stamane quando me ne sono andato. Chiaro?» Sabrina intanto non si era ancora voltata: conoscendola non lo avrebbe fatto finché non fosse stata costretta a farlo, la sua aura era grigia: era davvero spaventata per la mia entrata brusca. Descrissi loro l’ingresso e la camera da letto ed a quel punto vidi Mara per la prima prima volta un po’ preoccupata. «Dai Sabri, muoviamo il culo: noi l’abbiamo combinata e noi dobbiamo sistemarla». Fu solo allora che Sabrina si girò, con gli occhi un po’ arrossati, solo perché se li era sfregati a dovere credendo di impietosirmi;

«Senti cocca, intanto vai a sistemare casa che per piangere poi hai tempo» ed aggiunsi un sorriso lieve lieve giusto per farle capire che non ero arrabbiatissimo, diciamo solo scocciato dal rientrare a casa e dovermi mettere a sistemare tutto per qualcosa in cui non c’entravo nemmeno!! Aspettai che prendessero lo loro cose, che spegnessero le apparecchiature e che si incamminassero verso l’uscita. Solo a quel punto me ne andai per i fatti miei a trovare un amico che abitava in zona.

Dopo qualche ora ricevetti un messaggio sul cellulare dalla Mara, che diceva che era quasi tutto sistemato e che potevo rientrare. Le risposi di non farsi trovare al mio rientro che ancora non mi era passata l’arrabbiatura; in realtà sapevo benissimo che al mio rientro avrei dovuto affrontare il mio ‘coinquilino’ che sicuramente non aveva gradito l’intrusione, e che probabilmente era il vero responsabile del disastro che avevo trovato.

L’indomani, al rientro dal lavoro, mi fermai dalle ragazze per affrontare la questione con un po’ più di mente serena. Ero ancora infastidito specialmente visto che ormai sapevo cosa era successo, dal coinquilino.

Capivo la voglia di sperimentare delle ragazze, ma dovevano anche capire a che rischi andavano incontro ed che rischi facevano correre ai soggetti, inconsapevoli, dei loro esperimenti. Sabrina non era in ufficio, e da un certo punto di vista ero contento che non vi fosse: a mio parere era lei ad avere una certa brutta influenza su Mara. «Allora Mara, mi spiegate che cosa speravate di ottenere con lo scherzetto di ieri pomeriggio?»; Mara era chiaramente in imbarazzo, se non altro aveva capito di aver fatto una sciocchezza; continuando a lavorare sul suo foglio al Mac iniziò: «sai ieri Sabrina mi diceva di un esercizio con cui si poteva contattare una persona nel sonno». La interruppi subito «ma ti pare che alle due di pomeriggio io dormissi??

Nemmeno non conosceste i miei orari!!»; Mara cercò un appiglio «ma sai, diceva che con menti ricettive come la tua poteva funzionare anche da svegli». Li iniziai di nuovo ad alterarmi: «ma vi siete poste il problema di cosa stessi facendo in quel momento? Se stavo guidando un mezzo pesante? Se fossi stato a colloquio con qualcuno? Come avrei giustificato un contatto di quel genere????»

Mara, chiaramente sempre più in imbarazzo cercava una via di uscita «dovevo verificare se sei davvero così bravo, prima di parlarti di una cosa personale, per capire se puoi o no aiutarmi davvero». L’aura di Mara era cambiata, da rossa-blu, dovuta all’ansia, stava diventando a strisce rosse che alternavano a strisce grigio chiaro, indice di paura. Dall’aura potevo capire che era passata dal timore di parlarmi di qualcosa, alla paura della cosa di cui voleva parlare: decisi di aiutarla a decidere di parlarne, se non altro per aiutarla a levarsi quel peso dallo stomaco che sembrava quasi asfissiarla!!

«Forza! Sputa il rospo» le dissi, cercando in incoraggiarla a superare lo stallo in cui si era ficcata. Mara era chiaramente in difficoltà, ma decise di affrontare la cosa, prese fiato e «Puoi passare da casa mia stasera, che so verso le 20?». Dedussi che o non voleva parlarne davanti la Sabrina, oppure era qualcosa che riguardava l’appartamento e voleva che lo vedessi direttamente. «Certo: nessun problema Mara» e chiusi il discorso visto che era chiaro che non avrebbe detto altro sulla questione, qualunque essa fosse.

Alle 19.55 ero davanti casa sua e lei era li ad aspettarmi, pensai che fosse strano che non fosse già in casa ad attendermi, ma non me ne preoccupai più di tanto. Salimmo le scale parlando del più e del meno, come se fossi li per un aperitivo o qualcosa di simile, ma appena fui dinanzi alla porta comincia a capire perché fosse stata tanto scevra di informazioni. «Mara: che avete combinato qui dentro? Sento puzza di entità come il marcio in una fogna davanti a questa porta!!». Mara iniziò a farfugliare mentre rovistava nella borsa per recuperare le chiavi, e non parve affatto stupita quando un rumore secco e metallico indicò che la serratura della porta si era appena aperta… da sola!!

«Ecco adesso inizio a preoccuparmi davvero Mara» le dissi, ma lei nulla, a testa bassa entrò in casa facendomi segno di seguirla. L’appartamento era un classico appartamentino di periferia: ingresso, con un corridoio, piuttosto scuro che proseguiva dritto fino ad un muro, probabilmente il confinante con un altro appartamento, e lungo il corridoio, disposte una di fronte all’altra due serie di porte; la prima a destra la cucina, di fronte la sala da pranzo, poi due camere da letto una di fronte all’altra; in più sul lato destro tra le due una rientranza in cui era posizionata la lavatrice ed un’altra porta che dava nel bagno. Un appartamento come tanti se non fosse per quel freddo assurdo che mordeva la carne, le ossa e l’anima.

«Allora mi vuoi spiegare ora?» incalzai Mara, lei si spostò davanti la sua camera da letto ed a passo deciso raggiunse il bordo del suo letto e con un gesto, un tantino teatrale mi sembrava al momento almeno, spostò il piumino ed il lenzuolo. Non disse una parola: rimase con lo sguardo fisso sullo spettacolo che mi si era presentato ed a voce bassissima, quasi sussurrando come in una chiesa aggiunse solo «e tutte le notti così ormai da quasi un mese».

Si stava riferendo al macello che era stato combinato al lenzuolo di sotto del suo letto. Apparentemente strappato a casaccio, ma osservando con più attenzione era chiaro che il lenzuolo era stato lacerato con uno schema che mi era piuttosto noto: artigliate. Purtroppo i segni erano a gruppi di tre, il che escludeva animali di qualsiasi tipo che potessero raggiungere, condizioni normali il letto. Le cosiddette ‘zampe a tre artigli’ sono piuttosto comuni tra una certa categoria di esseri purtroppo. A quel punto ero indeciso se iniziare la mia indagine immediatamente o, se prima, farle una ramanzina di quelle come si sarebbe aspettata; ma era evidente che era già di suo piuttosto abbacchiata e spaventata: colpire un essere a terra, salvo rari casi, non fa parte del mio stile, per cui iniziai subito con le domande di rito. «Da quanto va avanti? Cosa hai fatto per far iniziare questa cosa? Succede con te presente o solo quando sei fuori casa?» e così avanti per un bel po’.

Mara fu stranamente molto precisa sui dettagli di come era iniziata la faccenda, e fu fin troppo chiara nel descrivere, senza rendersene conto, l’errore madornale che aveva fatto quella notte. Man mano che ponevo le mie domande sentivo ‘qualcuno’ che si agitava sempre di più: era chiaro che questa entità aveva già inteso chi ero e cosa stavo facendo li, perché più andavo a fondo con le domande e più sia Mara che io sentivamo una pressione interiore che aumentava in maniera costante.

Facendo l’indifferente iniziai a spostarmi mentre parlavo con Mara e lei istintivamente mi seguì, così lasciammo la camera da letto e ci dirigemmo in cucina. La pressione diminuì di parecchio anche se non scomparve del tutto. Questo mi fece sorgere un dubbio: «Mara hai pestato i calli a qualcuno a cui non dovevi farlo ultimamente?» Mara mi guardò incuriosita, e forse per tagliare un po’ la tensione mi rispose «a parte te? No, non mi pare.»

Cercai di spiegarle che il fatto che questa entità pareva non in grado di allontanarsi dalla camera mi indicava che era forte solo li dentro, e di solito questo non accade con entità che riescono, con l’inganno, ad avere accesso alla nostra realtà. Il che mi fece venire un dubbio; «resta qui» le dissi e tornai nella stanza da letto. Cominciai con i cuscini, li presi uno per volta e li tastai in cerca di qualcosa di anomalo come un ispessimento, un grumo insomma qualunque cosa che di norma non si trova all’interno di un cuscino; i quattro cuscini sembravano in ordine, per cui passa ad ispezionare il comodino dal lato dove lei dormiva di solito.

Una lampada da notte, un libro, pettine, spazzola: solito cose, poi sotto il libro noto un piccolo porta gioie, che a giudicare dalla polvere non veniva aperto da parecchio; lo fisso: aveva qualcosa di ipnotico, almeno per me, sento all’improvviso, e con la mente e non con le orecchie, una cantilena che non mi è affatto nuova. Rallento il respiro mentre allungo la mano per sfiorare senza ancora toccare quel piccolo contenitore laccato rosso e nero. Espando la mente diventando ricettivo un momento prima di arrivare a toccarlo. Ed all’improvviso eccoli: due occhi scuri mi stanno fissando e dalla posizione delle sopracciglia non sono affatto occhi benevoli.

Sento la cantilena più distintamente ora: ha una melodia arcaica, non delle nostre terre, direi africana così ad istinto. Prendo il cofanetto in mano ascolto le sensazioni che mi trasmette: rabbia, malanimo, cattiveria. «Mettilo subito giù e vattene» romba all’improvviso nella testa. «E perché dovrei mai farlo?» rispondo, mentalmente, in tono di sfida.

Silenzio totale per qualche secondo e poi la minaccia «perché altrimenti, dopo tocca a te!»

Ormai l’ho raggiunta: facendole perdere tempo tra minacce e risposte, ne ho approfittato per agganciarla e capire: l’entità, in realtà e una entità molto umana, una qualsiasi fattucchiera che ha lanciato una fattura malefica sulla Mara. «Senti bella: ormai è chiaro che hai lanciato una fattura, e per quanto mi riguarda sarà piuttosto semplice cancellarla. Se la finiamo qui bene, se insisti allora mi vedrò costretto a venirti a cercare.»

Silenzio… non capivo se per lo scorno di essere stata scoperta, o perché cercasse un qualche terreno di confronto occulto. Probabilmente, la donna, stava cercando di capire che livello operativo io potessi avessi e che tipo di problemi potessi procurarle.

Riformulai il mio quesito sempre mentalmente: «allora? La disfai tu la fattura o devo provvedere io? Sai cosa vuol dire che provveda io vero ?»

La domanda era intrinsecamente una minaccia: quando si ‘leva’ una fattura, è consuetudine riappiccicarla a chi l’ha generata, e questo non comporta che avendola generata la persona originalmente sia poi così semplice per lei disfare cosa fa qualcun altro.

La risposta fu quasi fulminea quindi legata più alla rabbia che ad un ragionamento concreto sulle possibili conseguenze: «Fai come ti pare: io ho avuto commissionato il lavoro e me l’hanno pagato, per cui la fattura resta.»

Fu chiaro a quel punto che non c’era più alcun punto di confronto con la fattucchiera per cui tagliai lesto il legame dal cofanetto.

«Mara» chiamai, lei mesta, mesta mi raggiunse in camera da letto guadando sospettosa il porta gioie che tenevo in mano. «Dimmi» fu l’unica cosa che esclamò sempre tenendo d’occhio con cautela l’oggetto.

«Allora» iniziai, «hai chiaramente pestato i piedi a qualcuno che si è preso addirittura la briga di pagare qualcuno per affilarti una fattura. Dire di un livello me di alto, visto le tracce di artigli, ma la cosa la posso gestire. Certo sapere chi ha avviato la questione, mi renderebbe il lavoro molto più semplice e rapido…» lasciai volutamente la frase sospesa aspettandomi che la terminasse lei con un nome, una indicazione un qualcosa che mi rendesse il lavoro più semplice.

Niente: Mara roteava gli occhi in alto in un chiaro sforzo di ricordare qualche avvenimento o persona a cui collegare questa cosa, ma il suo cervello stava girando a vuoto chiaramente. «Ok, lascia stare: stanotte dormi da me, io intanto sistemo la cosa così che tu possa rientrare in casa tranquilla.»

Mara mi guardò un attimo e poi: «ma il tuo coinquilino non si arrabbierà che dormo li visto il casino di ieri ?» si stava ancora riferendo all’incidente dei mobili ribaltati in giro per casa, «No, gli ho spiegato cosa è successo e ha deciso di non intervenire, chiaramente a patto che non succeda mai più!»

Così fu, prese quattro cose che le servivano per la notte: un pigiama, spazzolino, spazzole per capelli, creme, cremine varie e ce ne tornammo a casa mia.

La serata passò tranquilla, esclusi i tentativi di Sabrina di avere novità, ed il suo insistere, se poteva passare: sapendo quando la infastidiva essere tagliata fuori, chiaramente dissi a Mara di non farla venire!

Parlammo del più e del meno, e mi raccontò di come era stata introdotta quasi senza rendersene conto all’occultismo dalla nonna paterna. Chiaramente la nonna aveva visto in lei quello che vedevo io leggendole l’aura e per quello la aveva iniziata alle arti di questo tipo, purtroppo però la troppa differenza di età, come succede quasi sempre in questi casi, portò ad una morte per vecchiaia della donna, senza aver potuto completare l’addestramento della nipote, che così si trovava per le mani dei mezzi che non capiva del tutto e di cui spesso ignorava le conseguenze, tipo lo scherzetto fatto ai mobili di casa mia.

Decisi in quel momento che l’avrei portata quanto meno al primo livello di preparazione per darle la possibilità di fare certe cose con cognizione di causa e senza correre rischi, sempre che l’avesse voluto; ma questo è un’altra storia.

Quando furono le 23 salutai con cortesia mandando Mara a dormire, ed io mi ritirai nella mia cantina ben attrezzata e protetta per fare il mio lavoro; chiamai il mio coinquilino per avvisarlo che mi stavo per mettere al lavoro per cui come da accordi presi, poteva partecipare, farsi un giro o guardare senza intervenire: chiaramente la scelta era sempre solo sua, mai mia !

Presi il cofanetto dall’involucro di velluto nero in cui lo avevo avvolto per portarlo via, il velluto nero serve a impedire a chi ha fatto la fattura di vedere che succede intorno all’oggetto, appena svelato il cofanetto sentii il coinquilino borbottare qualcosa: «che c’è non riesco a capirti» dissi mentalmente e nello stesso modo mi rispose: «lavoretto da principiante!» sbottò. «Non tutti hanno la tua fortuna di condividere casa con uno che sa cosa sta facendo» gli feci eco sorridendo tra me e me, perché sapevo quando lo infastidivano questi discorsi in cui sottolineavo che lui non era l’unico bravo presente in casa.

«La vedi ?» mi chiese, «no ne vedo solo la forma per ora: chiaramente una donna». Evidentemente il coinquilino era di umore collaborativo quella sera «da qui ci penso io… non ha voluto ritirare la fattura vero?» Il tono con cui lo disse mi fece accapponare la pelle. «Senti amico mio, non voglio morti, pestilenze, putrefazioni, demoni o altro: solo annullare e rigirarle come si confà tra noi il lavoro. E preciso nulla di più, sono stato chiaro ? Sennò faccio io.» Sapevo che si sarebbe irritato, ma sapevo anche che con il tempo aveva anche imparato a non litigare con me. «D’accordo d’accordo come vuoi tu… rispedisco al mittente senza interesse… che noia».

Delle volte le nostre conversazioni mi divertivano troppo, specialmente quelle in cui lui dimostrava di abbassare la testa, o cosa avesse al posto della testa, visto che non aveva mai voluto palesarsi in forma fisica con me.

Si erano fatte le tre di notte, ora giusta per chiudere il lavoro e andare a dormire.

La mattina alle sei, come d’abitudine ero già in piedi a preparare delle pancake per Mara, sapevo che ci andava matta, affogandole nello sciroppo di acero che riuscivo a procurarmi da amici americani, perché da noi ancora non si vendevano questo tipo di prodotti.

«Che profumino, hai fatto le pancake?» la domanda era trabocchetto perché stava già sbavando mentre si gustava con gli occhi la pila di frittelle che era a fianco alla teglia su cui soffriggevo.

«Secondo te?» le dissi mentre portavo la pila a tavola, e ci ingozzammo come se non ci fosse domani. Dieci minuti e 20 pancake erano andate spazzolate senza un sol commento. «Ok Mara, adesso tu vai al lavoro, e ci vado pure io, quando stacco, verso le diciassette, passo a prenderti e tu ed io» e posi particolare enfasi sulla parte finale della frase «andiamo a casa tua a finire il lavoro».

Lei accettò senza discutere il fatto che non volessi Sabrina tra i piedi, e ben fece chiaramente! La giornata passò bene o male in fretta, salvo alcuni momenti in cui sentivo qualcuno che mi girava intorno, ed immagino fosse la fattucchiera che tentava di raggiungermi, ma il mio amuleto al collo la bloccava ogni volta che ci provava senza che nemmeno che dovessi intervenire coscientemente io.

Alle 17,30 eravamo davanti casa della Mara, le dissi di darmi le chiavi e di aspettare che la chiamassi. Volevo essere certo che la casa fosse pulita prima che lei vi rientrasse definitivamente.

Entrato in casa, apersi tutte le finestre e mentre casa si arieggiava di un nuovo odore di fresco preparai una ciotola dove versai dell’acqua in ebollizione in cui avevo sciolto abbondante sale marino.

La feci intiepidire abbastanza da non scottarmi le dita ed iniziai a iscrivere in un cerchio su ogni finestra, un sigillo di protezione in direzione esterna: qualunque entità in casa poteva uscire, nessuna entità da fuori poteva invece entrare. Ci volle più di mezzora per finire il lavoro su tutte le finestre, e per ultima la porta di ingresso, cosa un po’ più complicata perché dovevo aspettare che non ci fosse nessuno sulle scale; ma alla fine sistemai anche la porta.

Chiusi tutte le finestre e la porta, mi misi più o meno al centro della casa ed iniziai ad espandere la mia sfera protettiva: volevo essere certo che niente e nessuno si fosse annidato in qualche angolo che mi fosse scappato: più la sfera si allargava più avrebbe spinto qualunque entità verso i muri perimetrali, e per non essere spezzati dalla pressione l’unica via di fuga erano le finestre con il sigillo in uscita.

Fortunatamente non percepii nulla… evidentemente l’entità che era stata coinvolta nella formazione della fattura si era ritrovata libera al momento in cui avevo invertito la fattura stessa, ed adesso probabilmente era in casa delle fattucchiera. Sorrisi all’idea della tipa alla presa con una entità arrabbiata perché sbattacchiata da una parte all’altra senza alcun ritegno… le entità posson diventare molto permalose!!

Mi affacciai dalla finestra del cucinino, che dava sull’ingresso della palazzina e sotto, come mi aspettavo trovai Mara col naso all’insù, le feci cenno di salire e le andai incontro all’uscio di casa.

Lei si fermò proprio sull’anta della porta «Posso ? Si ?» Mi venne da sorridere a vederla chiedere permesso a casa propria, ma mi fece anche piacere perché dimostrava di aver capito che la situazione non era da prendere sottogamba.

«Entra entra, anzi dimmi che sensazioni hai rispetto all’ultima volta che sei entrata qui». Lei girò un po’ per casa, evitando chiaramente la camera da letto. «Forza tanto ci devi entrare prima o poi qui dentro» le dissi indicandole la porta già spalancata della sua camera da letto.

Si fece coraggio ed entrò: era chiaramente in attesa le succedesse qualcosa, ma non successe assolutamente nulla. Le si stampò fintamente un espressione più rilassata sul viso. «Grazie, davvero non so come potrò mai sdebitarmi per aver messo a posto questo casino» mi disse davvero sull’orlo delle lacrime.

«Mara è stato un piacere poterti aiutare, ma devi promettermi che in futuro starai più attenta a chi pesti i piedi, almeno finché non avrai imparato a proteggerti a dovere!»

Lei sorrise e rispose con solo «quando cominciamo?»


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diario/cap-04.txt · Ultima modifica: 24/03/2024 09:40 da 127.0.0.1