Cap. 09 – Tuffo nel Passato
«Nonno, perché mi stai insegnando queste cose?» La voce, allora di tredicenne, non tremava, ne aveva un tono sfacciato: era davvero solo curiosità la mia. «In realtà, nipote, non ti sto insegnando nulla che tu già non sappia: ti aiuto solo a ricordare.»
Questa conversazione, pur essendo passati ormai tanti anni, mi torna spesso in mente: non riuscivo a capire, allora, il senso di memoria trasmessa. Un concetto che mi divenne più chiaro, in la, con gli anni.
Forse, allora, avrei dovuto essere più curioso del fatto che queste lezioni avvenivano solo durante i miei sogni, e da un qualcuno che era morto da tempo. Questo si, avrebbe dovuto farmi fare altre domande. Allora la trovavo una cosa tremendamente naturale, e di conseguenza non mi ponevo quesiti sulle modalità di questo modo di insegnare, ne tantomeno che fosse una persona deceduta a tenermi questo corso.
A volte, il nonno, si lamentava del fatto che queste lezioni avrebbe dovuto impartirmele mia madre, ma come diceva lui spesso: «lei ha sempre avuto una forte lotta interiore tra la sua religione e le pratiche mistiche, e questo la portava a non considerare il rischio della grave perdita delle conoscenze di generazioni di streghe e stregoni della nostra famiglia se non avesse trasmesso gli insegnamenti a te».
«Le tue sorelle purtroppo non sono nate con il seme della magia insito in loro, per cui resti solo tu, nipote, a cui tramandare le conoscenze della famiglia. Non addestrare te, vuol dire buttare al vento l’esperienza di generazioni di nostri predecessori. E tu, non avendo discendenza diretta in futuro, dovrai trovare chi, secondo te, merita di prendere questo nostro lascito affinché non vada perso.»
Allora non capivo perché era così convito che non avrei avuto figli, ma come sempre aveva ragione, e lo capii solo qualche anno dopo, quando accettati la mia omosessualità, che, in questo paese, era una condanna a non poter avere figli ne propri ne adottati.
E così son cresciuto sapendo, che durante la mia vita, avrei incontrato una persona che avrei sentito essere quella giusta, a cui tramandare le mie conoscenze affinché il nostro patrimonio di ricordi non andasse perso per sempre.
A volte mi domandano come è nata tutta questa faccenda, in realtà iniziò il giorno del funerale del nonno.
Ricordo che non vollero farmelo vedere, perché avevo sette anni, e pensavano fossi troppo piccolo per confrontarmi con la morte, ma le cose non vanno mai come uno le programma: ricordo ancora quello che allora considerai un incubo, ma che in realtà era solo il primo di una lunga serie di sogni che quantomeno potrebbero essere definiti strani!!
Quella notte sognai una stanza enorme, con molta luce; entrando nel locale c’era una bara appoggiata su due cavalletti e la testa della bara era rivolta verso di me, così che io non riuscivo a vedere chi ci fosse dentro. Nel sogno non avevo memora del fatto che il nonno fosse morto.
Ad un certo punto feci caso a tutta una serie di persone intorno la bara, tutti vestiti di nero: c’erano parenti noti, e personaggi che non sapevo chi fossero, probabilmente amici e conoscenti del nonno. Senza alcun preavviso il morto nella bara si alzò in posizione seduta, ma parve che nessuno se ne fosse accorto, perché tutti continuavano a chiacchierare tra di loro come se nulla stesse succedendo; la figura nella bara si girò verso di me, e li riconobbi il nonno. Mi guardò con fare astioso, non capivo perché: in fin dei conti era morto non più di due settimane dal nostro arrivo per cui non avevo avuto modo di conoscerlo bene, visto poi, che allora, non parlavo ancora bene l’italiano.
Non disse nulla: mi guardo soltanto con uno sguardo torvo, quasi fosse arrabbiato per qualche motivo con me. Poi all’improvviso, come si era levato si girò in avanti e si distese nuovamente nella posizione in cui era al mio arrivo nel locale. A quel punto mi svegliai, ero a disagio, sudato, spaventato da quello sguardo severo e truce; ma mi domandai che motivo poteva avere di essere arrabbiato con me in fin dei conti!!!
A quei tempi io dormivo nella stanza dei miei genitori, perché le sorelle si stavano facendo grandi e mio padre non voleva che dividessi la stanza con loro, come se invece dividerla con lui e mia madre sarebbe stato meno strano secondo il suo metro !!!
Sul mobile della stanza, vicino ad un grande specchio mobile, mamma, dopo la morte del nonno, aveva messo una sua foto li vicino allo specchio. Da quella notte, del sogno, sino ai primi contatti, ricordo che non riuscivo a prendere sonno se non mettevo la foto a faccia in giù: come se dalla foto mi guardasse ancora, con quello sguardo accigliato che mi aveva rifilato nel sogno. Mamma si accorse della cosa, ovviamente, ma collegò la cosa alla morte del nonno, per cui mi lasciò fare per un po’ senza chiedere spiegazioni.
Per un po’ di tempo, il girare la foto a faccia in giù sembrava aver risolto il problema dell’incubo fatto la prima notte; ma una notte mi ritrovai di nuovo con il nonno, questa volta, tuttavia, in una situazione molto più tranquilla: eravamo in un parco, c’era una giornata soleggiata, senza essere troppo calda: insomma una situazione ottimale per fare quattro chiacchiere. Non mi chiesi come fossi arrivato li e perché ci fosse il nonno li con me, ma percepivo la situazione come estremamente naturale.
Il nonno aveva una espressione molto tranquilla, nulla a che fare in quell’unica volta che lo avevo visto da dopo la sua morte fisica. Come se avesse percepito la mia osservazione mi disse: «Devi perdonarmi, nipote, se la prima volta che ti ho cercato ero un po’ alterato: non ce l’avevo con te.
Ce l’avevo con la situazione in generale che non mi aveva dato il tempo di conoscerci ed insegnarti quello che tua madre ha evitato accuratamente di trasmetterti.»
Non riuscivo a seguire il suo ragionamento, ma ero certo che quando sarebbe stato il momento giusto, il nonno mi avrebbe spiegato a che si riferisse. Pur non avendolo conosciuto molto in vita, in questa situazione mi dava l’idea di una persona molto gentile, dolce, quasi tenero, il che un po’ andava in contrasto con i, pochi invero, racconti che la mamma aveva fatto sul suo conto in passato.
Sapevo, anche, che la fuga di mia madre, per sposare per procura mio padre, che chiaramente il nonno non voleva che sposasse, aveva lasciato i rapporti tra mamma ed il nonno, non di certo, idilliaci. Ma da li a farne una versione totalmente diversa, da come era in realtà, mi pareva un po’ esagerato anche per mia madre.
«Non giudicare tua madre, ci sono tante cose che non sai, ed alcune non le saprai nemmeno mai, per cui accetta le cose che ti ha detto di me per come te le ha dette: con il tempo avrai la possibilità di farti una tua idea su di me, e questo mi basta.»
Era un discorso un po’ criptico, ma lo accettai senza grossi problemi, anche la parte del con il tempo mi risultava un po’ strana da accettare: lui era morto, ed io lo stavo sognando. Forse voleva dirmi che lo avrei sognato per il resto della mia vita ?
Di nuovo, come se avesse sentito il mio dubbio mi rispose: «No, no non per tutta la vita, solo per il tempo necessario affinché tu apprenda quello che devi sapere della nostra famiglia e che tu impari a difenderti da cose che, al momento, nemmeno immagini.»
Seppur le parole erano piuttosto preoccupanti, quando era lui a pronunciarle mi risultavano comunque tranquillizzanti. Avevo già notato questa cosa: qualunque cose dicesse, per quanto brutta fosse, riusciva a farmela sentire come se non dovesse preoccuparmi; e questo mi piaceva molto.
Negli anni a venire, passammo molto tempo insieme nei miei sogni, che ormai consideravo una vita parallela a quella che vivevo come un normale adolescente. Mi raccontò del nostro casato, di cosa, nel passato, avessimo fatto contro forze più o meno oscure, di come di generazione in generazione c’era sempre stata una figlia che raccoglieva l’eredita mistica della nostra famiglia.
Fino a mia madre, che per via del suo modo di vivere la sua religione non riusciva a far coesistere le due realtà. Ed a dire il vero, uno dei motivi per cui era scappata in un paese distante, era che sperava che così, suo padre, non potesse intervenire sui suoi figli cercando di insegnare loro quello che lei non era assolutamente intenzionata di insegnarci.
Alla nascita della mia sorella maggiore e successivamente alla nascita della mia sorella mediana, il nonno era sempre più preoccupato: due figlie e nessuna delle due con il seme della magia. Temeva che l’opposizione di mia madre verso la propria magia, avesse interrotto la progenie di figlie in grado di gestirla.
La sorpresa più grande, per il nonno, fu alla mia nascita; quando realizzò che in me, il seme della magia era presente; non si spiegava come mai fosse successa questa cosa: da generazioni il seme della magia era sempre stato impiantato in figlie femmine, sebbene il capostipite della famiglia fosse in realtà un maschio.
Ai figli maschi, di solito più giovani, era lasciato il compito di studiare la storia, e tramandarla, in caso di morte prematura di una madre, prima che la figlia fosse addestrata completamente. E quando mia madre disse chiaramente al nonno che non intendeva insegnarmi un bel nulla, capi il perché del suo ruolo, come secondo figlio, e maschio, di apprendere la storia e le arti: stava a lui addestrarmi visto che mia madre si rifiutava.
Il problema era che noi vivevamo in un altro paese, distante per lui che invecchiava, per raggiungerci quando voleva, e mia madre era stata chiara con lui sul fatto che non lo avrebbe ospitato a tempo indeterminato a casa nostra, visto poi, che sapeva perché si sarebbe trasferito da noi. Così il nonno studiò e mise in atto il suo di piano: a morte avvenuta mi avrebbe contattato nel mondo dei sogni e da li mi avrebbe insegnato quello che poteva.
Questo spiegava la situazione in cui mi trovavo: nonno morto, ma in visita, ormai, tutte le notti al nipote. La cosa che mi stupiva molto era che pur vivendo questa seconda vita di notte, non ero minimamente stanco di giorno. Sembrava che le due vite non si intersecassero tra loro in nessun modo.
In quegli anni, nei nostri incontri notturni, mi insegnò tutta la storia della nostra famiglia, e con un certo gongolare, mi raccontava i particolari di cruente battaglie di mie ave, contro le forze del male.
Mi iniziò alla magia bianca, avviandomi all’esecuzione di riti semplici, e via via passava il tempo, riti sempre più complessi.
Mi spiegò che ad ogni generazione a chi toccava, toccava un tipo particolare di malignità da affrontare: mia nonna per esempio aveva praticato molti esorcismi, sua madre invece si occupava di far colloquiare i morti, non sereni, con le loro famiglie; insomma diciamo che ognuno era specializzato in qualcosa di particolare, pur riuscendo comunque a coprire tutti gli aspetti della magia, se fosse servito.
Era in dubbio su di me: che tipo di specializzazione avrei avuto, o essendo tornato il seme ad un maschio, forse come il nostro fondatore, avrei avuto a che fare un po’ con tutti gli aspetti del male in senso lato. Non ne era sicuro e per questo cercava di farmi capire che non riusciva a vedere in la nel tempo se avrei avuto qualcosa in particolare da affrontare o se avrei affrontato un po’ di tutto, per cui l’addestramento fu molto intenso e su tutti i campi che poteva coprire con la sua conoscenza, che a dire il vero davvero mi stupì, per quanto era vasta.
Ricordo, come se fosse ora, le ore passate a studiare su libri che non esistevano, perché erano volumi che apparivano nel sogno, al momento in cui dovevo studiare una particolare cosa, ed il nonno mi spiegava che semplicemente evocava quello che serviva al momento del bisogno, ed i tomi comparivano tra le sue mani.
Come spiegazione, agli inizi, me la facevo bastare, ma man mano progredivo negli studi i miei perché si facevano sempre più mirati e precisi. E questa cosa, ricordo, faceva gonfiare di orgoglio, nei miei confronti, perché, a detta sua, più miravo i miei perché e più dimostravo di aver appreso.
Ci vollero degli anni prima che mi permettesse di iniziare a praticare la magia nel mondo reale, io sapevo che era per il mio bene, ma confesso che in certi momenti della mia vita reale, fu davvero dura non ricorrere a qualche incantesimo per vendicarmi sui bulletti che, come in tutte le scuole, erano presenti nella mia. Per come tutte le cose, anche su questa aveva ragione quando mi diceva: «Pazienza nipote, vedrai che più diventi potente e meno la gente ti infastidirà: percepiranno il tuo potere anche se non riusciranno a metterlo a fuoco per cui ti lasceranno in pace.
In effetti già verso i 15 anni notai che molti, dei soliti bulletti, avevano smesso di perseguitarmi, anzi mi giravano al largo e, quando erano costretti, per qualche ragione, ad avere a che fare con me, stavano ben attenti a mantenere un basso profilo.
Verso i 16 anni ebbi il mio primo incarico vero e proprio: un ragazzo di una classe diversa dalla mia, a detta del nonno, stava passando un brutto periodo perché qualcuno, che ce l’aveva con la madre, gli aveva fatto una fattura. Credevo quel momento non arrivasse più!! Avrei fatto i salti di gioia se non fosse che sapevo che nonno non avrebbe gradito una simile manifestazione, esagerata, del mio stato d’animo.
In quell’occasione poi scoprii che il nonno, se voleva, poteva parlare con me anche nella vita reale, ma era una cosa che richiedeva molta energia, e per quello, di norma, evitava.
Eravamo al solito parco nel sogno quando, passeggiando al solito, arrivammo ad una fontana: «Guarda nella fontana e dimmi se vedi chi è il ragazzo che devi aiutare» mi disse. Guardai nella fontana e stranamente vidi l’area antistante la scuola, dove di solito ci si radunava prima dell’inizio delle lezioni; guardai un po’ in giro ed a un certo punto una cosa attirò la mia attenzione: c’era un ragazzo che se ne stava per conto proprio, non che fosse l’unico, ma questo aveva qualcosa di oscuro che gli saltellava intorno. «Bravo nipote, è proprio lui!! E sai dirmi cosa è quella cosa oscura che gli gira intorno?»
Immaginai che fosse una domanda trabocchetto, per cui ci pensai un attimo poi esplosi come una granata: «Posso fare un incantesimo anche da qui nonno? O devo essere nel mondo reale per poterlo fare?» Non ricevendo risposta mi girai a guardarlo e lo vidi per la prima volta con gli occhi lucidi. E non perché fosse triste, ma al contrario era felice di vedere che tutto il lavoro di quegli anni stavano dando il loro frutto. «Certo che puoi anche da qui, anzi da qui risultano più potenti in realtà!»
Ci pensai un attimo: era meglio un incantesimo rivelatore per capire cosa fosse quella creatura? O era meglio un incantesimo di disoccultamento? Decisi per il secondo e nonno mi chiese «come mai scelto il secondo? Col primo sapresti subito con chi hai a che fare.» Anche qui sapevo c’era un tranello, e gonfiando un po’ il petto con fare da saputello gli risposi: «Perché con il primo percepirebbe che lo sto osservando, mentre con il secondo no!» «Bravo» mi rispose nonno «ma non fare troppo il saputello: ricordati cosa ti ho insegnato sull’essere troppo sicuri di se stessi.»
Me l’ero meritato, e lo sapevo, per cui incassai la tirata di orecchie e ripresi a guardare nella fontana. «Allora procedi o restiamo qui a guardare tutto il giorno?» mi incitò il nonno sorridendo. Mi preparai come mi aveva insegnato, sgombrando la mente finché non fu tutto silenzio intorno a me, percepivo a malapena il nonno che mi stava a fianco.
Cominciai a pronunciare l’incantesimo scandendo bene le parole; man mano ripetevo, più e più volte, la frase la nebbia scura che attorniava quella entità si andava diradando finché alla fine lo vidi chiaramente: era evidentemente un demone di basso livello; una forma vagamente vermifuga con due occhi grandi e bui, la pelle era di un verdastro ripugnante e, quando si spostava, lasciava una specie di bava che spariva dopo qualche secondo.
«Direi un demone di basso livello, dal colore della pelle, un affamato perenne di disgrazie altrui, per cui se non ne ha, gliele crea.» Il nonno tronfio di orgoglio disse solo «Bravo! E come te ne liberi?» Ci pensai un attimo: «O trovo chi ha fatto la fattura e lo costringo a disfarla, oppure spezzo il legame tra il demone e la sua vittima, cosa che credo sia più efficace».
«Allora domani durante il giorno sai cosa devi fare, io sarò li con te anche se non mi vedrai, ci fossero mai problemi.» Normalmente il fatto che dicesse che sarebbe stato li con me, l’avrei presa come una offesa, tipo «non mi fido di te, quindi ti seguo per vedere che non fai danni;» ma detta dal nonno sapevo che era solo davvero preoccupato, essendo la mia prima caccia reale.
Sino a quel momento avevo combattuto solo contro proiezioni generate dal nonno, quindi senza una loro autonomia di reazione, in questo caso, invece, il demone avrebbe lottato per non essere disconnesso dalla sua vittima, ed io dovevo tenerne conto.
L’indomani mattino, fatte le solite cose al risveglio, andai verso scuola: eravamo già in primavera inoltrata, per cui feci la solita scorciatoia passando a fianco ai campi che dividevano la zona dove abitavo con quella dove, invece, andavo a scuola. Appena arrivato, mi guardai in giro nel piazzale della scuola in cerca del ragazzo visto il giorno prima nello specchio d’acqua rivelatore: in realtà non lo conoscevo, per cui non sapevo nemmeno che classe frequentasse, ma dall’età potevo immaginare che fosse in terza anche lui, per cui cercai nella zona delle terze.
Si, forse stranamente, ma s’erano create, spontaneamente, delle zone per gruppo di classi, per cui tutti quelli delle prime si trovavano vicino al cancello di ingresso; quelli delle seconde vicino ai parcheggi insegnati, quelli delle terze al lato destro della scalinata per accedere alla scuola e così via. Avevo sempre trovato strana questa cosa, ma avendola trovata già in atto, al mio arrivo dall’altra scuola, me ne feci una ragione e mi ci adattai subito.
Mi venne in mente che in realtà il ragazzo che cercavo, ieri era seduto nella zona degli isolati, ossia alla base della scala per lo sgombro rapido in caso di emergenze come incendi, terremoti o altro; zona che conoscevo piuttosto bene perché la frequentavo spesso pure io. Mi incamminai verso la scala anti incendio con calma: mancavano ancora venti minuti per l’inizio delle lezioni.
Come mi aspettavo era li, esattamente come lo avevo visto nella visione nell’acqua: seduto sul gradino che scarabocchiava su un quaderno a quadretti. Sentii subito anche l’amuleto di protezione scattare ed attivarsi, ma me lo aspettavo sapendo cosa aveva intorno il ragazzo che scarabocchiava. Il problema era adesso attaccare il demone senza dare nell’occhio.
Cominciai a pensare alle varie opzioni possibili: di certo non potevo avvicinare il ragazzo, che non conoscevo, e dirgli: «Non preoccuparti adesso devo fare un incantesimo per levarti di dosso una schifezza, che qualcuno ti ha appicciato, per vendetta, nei confronti di tua madre.» Quello di sicuro avrebbe chiamato, quanto meno, un ambulanza per farmi ricoverare presso il più vicino cento di terapia mentale che ci fosse stato, ed a dire il vero non era nemmeno troppo distante: in linea d’aria l’ospedale più vicino era a nemmeno un paio di chilometri dalla nostra scuola!!
All’improvviso sentii nella testa la voce del nonno che mi incitava: «Usa il mantra a bassa voce, oppure se vedi che è sufficientemente debole anche quello mentale». In effetti avrei dovuto arrivarci da solo, ma pazienza, era la mia prima vera missione, per cui mi detti la scusa che ero abbastanza teso e ci sarei arrivato solo un po’ più tardi del nonno a capirlo.
Mi misi ad un paio di metri dal ragazzo così che non potesse sentirmi salmodiare ed iniziai a cantilenare il mantra in maniera ripetitiva: non mi aspettavo una reazione così rapida da parte del demone; d’accordo che era un demone inferiore, ma addirittura reagire alla prima ripetizione del mantra mi fece sentire piuttosto in gamba da gonfiare il petto in una forma di auto compiacimento.
Alla terza ripetizione si rese visibile mentre si avvicinava, forse più incuriosito che spaventato, a me; bene, così mi rendeva il lavoro più semplice del previsto. Il mantra in realtà era composto di due parti separate: il primo attirava l’attenzione del demone spingendolo ad avvicinarsi, a quel punto si passava alla seconda parte, che serviva a recidere il legame alla sua vera vittima giocando sul fatto che fosse distratto ed essendosi allontanato da lui.
Quando lo vidi ad una distanza più vicino a me che alla sua vittima, iniziai con la seconda parte del mantra: il demone capì solo allora cosa stava succedendo, ma era troppo tardi perché potesse porvi rimedio. L’avvio della seconda parte lo inchiodò li dove era, così da impedirgli di tornare alla sua vittima, il resto del mantra serviva a rispedirlo da dove era arrivato interrompendo il cordone ombelicale che lo teneva legato alla sua vittima.
Lo sentivo dibattersi, mentre grosse gocce di sudore cominciavano a scendermi lungo la schiena e dalla fronte. Nella testa sentivo frasi in una lingua che non conoscevo, ma il tono era sufficientemente chiaro per farmi capire che il demone mi stava minacciando pesantemente: non dovevo farmi distrarre e continuai a ripetere la seconda parte del mantra.
Più lo ripetevo e più sentivo affievolire la voce del demone nella mia testa e più sudavo. Avevo ormai la maglietta completamente fradicia di sudore, ma come mi aveva insegnato il nonno, non mi distrassi e continuai senza pietà a ripetere il mantra finché il povero demone, si fa per dire povero, alla fine cedette e sparì lasciando solo un nauseabondo odore intorno a me, almeno così sembrava visto che il ragazzo non diede segno di aver percepito odori strani, continuando a disegnare.
Quando il demone sparì definitivamente però fu chiaro, almeno ai miei occhi, che l’effetto della sua sparizione fu immediato: da una posizione afflitta con le spalle basse la testa incassata tra quest’ultime, alzò la testa, drizzò le spalle e senza motivo apparente, mise via il blocco, si alzò e raggiunse quelli, che immaginavo i suoi compagni di classe, ridendo e scherzando con loro.
«Ottimo lavoro nipote;» sentii nella mia testa, risposi ovviamente mentalmente: «Grazie nonno, mi fa sentire bene esserci riuscito, anche se non ho la più pallida idea di chi lui sia.» Sentii la sua classica risata cristallina prima che riprendesse: «È un bene che sia così, perché sarà quasi sempre così; aiuterai gente che non sa chi tu sia e nemmeno cosa tu stia facendo per loro, per cui è bene che ti abitui a non ricevere nemmeno un grazie per quello che fai per loro.»
Su questo argomento, il nonno, aveva sempre insistito molto usando spesso la frase: «Fai del bene per quello che senti dentro, non per quello che ti daranno loro in cambio, altrimenti non sarebbe fare loro del bene, ma solo fare qualcosa per farti sentire bene.» Ed a furia di sentirmelo ripetere, avevo iniziato a pensare ci fosse qualche fregatura dietro, ma solo oggi avevo finalmente capito cosa intendesse con quella frase.
«Adesso muoviti che hai lezione: non è che perché hai levato di mezzo un demone fai festa!!!» Sorrisi e mi avviai verso le scale che portavano all’acceso all’immobile della scuola, entrai e feci la mia giornata di lezioni, come se non fosse successo nulla al mattino.
In realtà non vedevo l’ora che arrivasse sera per poter parlare di nuovo con il nonno, volevo imparare di più ed imparare a farlo bene, visto come mi ero sentito bene per una cosa così semplice, chissà come mi sarei sentito nell’affrontare problemi più grandi e complicati.
Avrei scoperto, solo negli anni, che non sempre ci si sentiva bene dopo aver fatto un lavoro di pulizia: sarebbe capitato anche si sentirsi molto a disagio per l’intervento appena fatto, ma questa è tutta un’altra storia !!