Cap. 10 – La Nonna e la Pioggia.
Successe poco prima dell’anniversario della morte della nonna materna. Il letto era appoggiato al muro per cui girandomi verso destra mi trovavo il muro di fronte, nulla di che, ma ci volle un po’ ad abituarmici dopo l’arrivo in Italia; dove vivevo prima avevo una camera tutta mia con il letto classicamente con la testata appoggiata ad un muro, alla destra la finestra ed alla sinistra il lato con la libreria ed una piccola scrivania. Di fronte avevo il muro con la porta che dava l’accesso alla stanza.
Di certo dopo aver dormito qualche mese, appena arrivati qui, condividendo il letto, singolo per altro, con un cugino, il letto appoggiato al muro, ma tutto mio, era già un gran passo avanti !!
La nonna era morta l’anno precedente, purtroppo sotto le festività natalizie, così aveva reso quelle successive, almeno quella dell’anno in corso, più dure da vivere per i miei genitori, per noi ragazzi chiaramente la cosa pensava meno: anche questa nonna la conoscevamo poco in quanto vissuti distanti per tutta la nostra, seppur breve, esistenza.
Quella sera andai a letto come normalmente facevo, infilato nel letto inferiore del castello, sotto la coperta, fantasticando un po’ mentre prendevo sonno, come credo capiti a qualunque ragazzino di 13 anni. Mancavano diversi giorni, non ricordo quanti di preciso, all’anniversario della triste occorrenza, ed a dire il vero, nemmeno ci pensavo più di tanto; di certo l’occorrenza non era tra i miei pensieri mentre prendevo sonno.
Fu verso le tre di notte che mi svegliai di soprassalto per dei colpi che sentii chiaramente dati sul muro dove appoggiava il mio letto. Ma, un po’ per lo stato di confusione per essermi svegliato così di soprassalto, un po’ il fatto che continuavo a sentire quel suono come di qualcuno che desse dei colpi con la mano sul muro, non riuscivo a capire che stesse succedendo.
Mi ci volle almeno un minuto per svegliarmi del tutto e rendermi conto che non era possibile che sentissi dei colpi da quel punto del muro: dall’altra parte c’era il salotto, e su quel lato del salotto c’era un mobile a tre sezioni lungo quasi quanto tutto il muro, e per la precisione dove io avevo la testa dall’altra parte del muro, c’era la sezione del mobile in cui erano contenuti sopra i piatti ed i bicchieri, del servizio buono, e sotto una raccolta di stoviglie misura XXL che veniva usato di rado, tipo nelle grandi festività in cui alla famiglia si aggiungeva il parentado raggiungendo numeri di commensali che superavano le venti unità.
Quindi come diamine era possibile che sentissi battere sul muro? Ero quasi deciso ad alzarmi per andare a vedere, ma un altra raffica di colpi mi fece passare ogni velleità di investigazione, mi portai la coperta fino a sopra le orecchie e pregai perché i colpi finissero. Sembrò che le mie preghiere vennero ascoltate da qualcuno perché dopo un altra serie di colpi, poi, fu silenzio. Confesso che quella notte feci molta fatica a riprendere sonno, dopo quella interruzione.
L’indomani mattina quasi non pensai nemmeno a cosa fosse successo durante la notte, per cui non ne parlai con nessuno. La sera, prima di andare a letto, però, mi tornò in mente cosa era occorso ed andai a letto un po’ preoccupato che la cosa si ripetesse.
Ora, vuoi che mi fossi addormentato proprio con quella preoccupazione, vuoi la suggestione, ma di nuovo, alle tre circa, mi svegliai sentendo di nuovo quei colpi; ma questa volta ero più infastidito che preoccupato: chi era che mi svegliava tutte le notti a quell’ora? Uno scherzo delle sorelle? Una rapida ispezione agli altri due letti escluse questa possibilità. Mio padre o mia madre non erano certo tipi d fare scherzi, figuriamoci di quel genere poi!! Restava la nonna materna che viveva con noi, ma prima di tutto dormiva dall’altra parte della casa, seconda cosa non aveva di certo la forza per spostare quel mobile, battere sul muro e prontamente rimettere a posto il mobile.
«Dum dum dum» ed intanto i colpi continuavano. Ancora più irritato quando mi svegliai del tutto presi la decisione: mi alzai, mi infilai le ciabatte, feci un cenno a Droll, il nostro doberman, di seguirmi; fatto un passo, non sentendo rumori alle mie spalle, mi voltai a guardare che stesse facendo il cane: era li, intontito dal sonno che mi guardava come a dirmi: «ma proprio mi devo alzare? Ora?» Battei il palmo della mano sulla coscia e, reagendo a quello che per lui era un comando, il cane era già in piedi, sbadigliando, ma in piedi, pronto a seguirmi.
Presi fiato e, petto in fuori facendo il duro, uscii dalla camera presi il corridoio per l’entrata e mi lanciai in salotto, accendendo il lampadario appena ebbi messo il primo piede nel locale. Droll, dietro di me guardava incuriosito e dall’espressione era chiaro che non capiva che stesse succedendo. Controllai se il mobile fosse ancora ben accostato al muro, e lo era. Provai anche a spostarlo di qualche centimetro per rendermi conto di che forza reale servisse per spostarlo, e ce ne voleva sicuramente più di quanta io o una persona anziana potessimo disporre, per cui feci spallucce, diedi una coccola al cane e me ne tornai a letto.
Appena sdraiato e pronto per riprendere sonno di nuovo tre colpi, questa volta, pronto ai colpi, mi girai di scatto verso Droll, ma niente: non dava segno di aver sentito nulla di strano: era li comodamente appallottolato sulla sua copertina che mi guardava, avendomi sentito muovere di scatto nel letto, in attesa che lo chiamassi per farlo salire sul mio letto, visto che, in casa, ero l’unico a permetterglielo ogni tanto. Nel frammentare i colpi erano cessati, per cui riuscii a prendere sonno.
La mattina seguente però presi mia madre da parte e le chiesi se avesse sentito dei rumori durante la notte intorno le tre, non le specificai di che genere, ma lei mi guardò con quello sguardo di chi si aspetta l’ennesima assurdità dal figlio adolescente, e mi chiese che genere di rumori avrebbe dovuto sentire, ammesso che fosse stata sveglia a quell’ora!! Chiusi li il discorso: non avevo voglia di dare spiegazioni, che nemmeno io avevo, su cosa avessi sentito.
Di nuovo si avvicinò l’ora di andare a letto, e quella sera ero davvero a disagio: se fosse successo nuovamente, che fare? Con chi parlarne? Soprattutto chi mi avrebbe creduto??
Quella notte non ci furono colpi, ma una cosa ancora più strana: feci un sogno: c’eravamo io e la mia defunta nonna, in un posto che non sapevo identificare. Poteva essere tardo pomeriggio perché c’era poca luce, e pioveva a dirotto!!
Lei non sembra accorgersi della mia presenza, ed in dialetto stretto continuava a lamentarsi: «Ecco sta piovendo, ed io non ho un ombrello; e mio figlio ? Non ci pensa a sua madre qui sotto l’acqua a bagnarsi tutta??».
Poi scattava qualcosa come un fotogramma difettato e ricominciava la scena appena passata, e così, per quello che a me sembrò, tutta la notte. Mi svegliò mia madre quella mattina, cosa strana perché di solito ero uno dei primi ad essere in piedi in famiglia. Normalmente mi alzavo appena dopo mia madre e le facevo compagnia mentre preparava il caffè per mio padre ed il necessario per la colazione per noi ragazzi. Mamma stessa mi chiese se stessi bene visto che ero l’ultimo ad alzarmi quella mattina.
La ripresi da parte, e le raccontai di quell’assurdo sogno che mi aveva perseguitato tutta la notte. Lei ci pensò un attimo poi mi disse con voce un po’ rotta: «sai domani è un anno che la nonna è morta, forse quel sogno è il modo del tuo subconscio per ricordartelo. Non devi avere paura, i morti non posson fare male a nessuno. Se rifai questo sogno stanotte domattina fammelo sapere. Va bene?» Io le feci cenno di si e, tranquillizzato dalle sue parole, affrontai la giornata con calma e serenità.
Arrivò la sera e si avvicinava l’ora di andare a letto, ma non ero ne teso ne spaventato, quando andai a dare il bacio delle buonanotte a mia madre lei mi sussurrò: «ricordati i morti non possono fare male a nessuno!! Tanto meno tua nonna poi !!!» Mi diede una carezza e me ne andai a letto.
Fu in quel momento che mi sorse un dubbio: che lei ne sapesse molto di più di quanto non volesse dare ad intendere, ma non avevo modo di provarlo, per cui restava una mia impressione. Presi sonno in fretta, nonostante tutto, ma alle tre di nuovo quei colpi… ma non erano reali questa volta: ero di nuovo nel sogno, ma al posto del fotogramma rovinato sentivo i tre colpi, e poi riprendeva a lamentarsi del fatto che piovesse e che suo figlio, mio padre, non si preoccupasse di farle avere un ombrello per non farla bagnare… e avanti così tutta la notte, almeno così sembrò a me.
Al mattino, mamma era in cucina che preparava la caffettiera per papà, ma lo sguardo era interrogativo e quindi le dissi: «si anche stanotte l’ho sognata con in più i colpi nel sogno anziché reali». Mamma mi guardò, come dispiaciuta, per non sapere come aiutarmi, ma mi disse anche: «oggi e l’anniversario, vedrai che stanotte non la sognerai più».
In effetti aveva ragione: quella notte, quasi ci restai male, non la sognai, e la mattina appena alzato lo dissi a mia madre che mi rispose: «vedi? Era come ti dicevo: il subconscio è una cosa potente; tu non ti ricordavi a livello conscio il giorno, e lui te l’ha ricordato. Fai una cosa: sul calendario in camera vostra, segnati la data per l’anno prossimo così almeno te lo ricorderai e non sognerai più lei che si lamenta per non essertene ricordato.»
La trovai una buona idea per cui appena in camera segnai tra le date da riportare nell’anno nuovo, la data dell’anniversario della sua morte, certo che, come aveva detto mia madre, se lo avessi ricordato non l’avrei sognata che si lamentava.
Passò qualche settimana ed un giorno, al rientro da scuola mi disse di pranzare in fretta che, poi, doveva dirmi una cosa. Chiaramente ormai incuriosito non avevo più fame, ma non ci fu verso: «O finisci il pranzo o non ne parliamo!»
Come sempre l’ebbe vinta lei, così mandai giù il pranzo, il più in fretta che potessi, e poi le dissi che ero pronto. Mi disse di seguirla in salotto, ed una volta entrati chiuse la porta alle sue spalle. Cominciai a preoccuparmi: perché aveva chiuso la porta? Stava arrivando qualche ramanzina? Cercai in fretta di ricordare se avessi combinato qualcosa che meritava una tirata di orecchie serie, ma non mi venne in mente nulla.
«Ti ricordi il sogno della nonna?» Mi chiese senza tanti preamboli, «certo che me lo ricordo» le risposi prontamente; «perché me lo chiedi, ora, a settimane di distanza?»
Mamma era raramente nervosa da giocare con le mani, ma era quello che stava proprio facendo in quel momento: continuava a stirarsi sulle gambe il grembiule usato per preparare il pranzo; «Ecco quando mi hai detto che il sogno continuava a ripetersi mi sono insospettita…» silenzio… non parlava più «e…» la incitai a proseguire, «beh ho telefonato giù, chiedendo che qualcuno andasse a controllare la tomba della nonna».
La nonna aveva voluto essere sepolta a fianco al marito, quindi in Sicilia, era distante da noi, ma erano le sue ultime volontà per cui papà le aveva eseguite.
«Beh pare che la lastra di marmo, sopra la bara, si sia incrinata ed entrava acqua quando pioveva, bagnando tutta la bara.» Restai imbambolato. «Vuoi dire che la nonna mi chiamava di proposito, per dirmi che le pioveva in testa?»
Mi resi conto dell’assurdità della mia domanda appena finii di formularla. Mi aspettavo qualche risposta del tipo «ma non dire sciocchezze» invece mamma non rispose. Dopo un po’ prese fiato e mi disse solo: «Questa cosa resta tra noi due, nessuno, soprattutto tuo padre, ne deve sapere nulla.»
Stavo per chiedere perché, ma il suo sguardo era chiaro come una scritta al neon fuori da un bar: «le cose stanno così, non chiedere oltre e non domandare altro.»
Fu allora che capii cosa intendeva, il nonno, durante le nostre chiacchierate notturne quando mi diceva: «Tua madre purtroppo è vittima del contrasto tra la sua religione e le sue origini, trovandosi così, spesso, in situazioni in cui il cuore le dice una cosa mentre la mente le dice il contrario.»
Ricordo la stretta la cuore, nel cercare solo di immaginare in quel momento cosa stesse passando. Volermi dire: «Non spaventarti, tu sei così, puoi sentire la nonna come potrai, forse, sentire me quando mene sarò andata.» Ma sentire, anche, di non poterlo assolutamente fare, per non andare in contrasto con la propria religione.
Aveva ragione il nonno: ignorare il suo seme di magia doveva esserle costato molto nella vita personale, ma come diceva lui, era stata una sua scelta: come nessuno avrebbe potuto imporle di vivere la magia, nessuno le avrebbe potuto imporre di vivere secondo i dettami di una religione che soffocava la sua natura di soggetto magico.
Triste vita doveva essere stata la sua, so che da quel giorno la vidi con occhi diversi. Mi era più difficile andare in contrasto con lei. Le classiche liti, tra figlio adolescente e madre, mi ricordo, terminarono quel giorno. Lei sapeva che io sapevo e questo la mortificava ancora di più di quanto credessi fosse possibile, ma come mi aveva insegnato il nonno non dovevo giudicarla, ma rispettare la sua scelta, nonostante le avesse praticamente rovinato la vita: era pur sempre stata una sua scelta cosciente e solo lei poteva portarne il peso.