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Cap. 18 - Il Convoglio



Chiacchieravo con l’autista, mentre il pesante mezzo militare traballava sulle strade, si faceva per dire strade visto come erano conciate, lasciando la E-852 per allungare verso Struga e fare un pezzo di strada costeggiando il lago di Ohrid. Il capo aveva deciso questa deviazione per poter pranzare con del pesce locale, che a detta di suoi colleghi, già passati in questa zona, era sempre freschissimo e sempre disponibile. Chiaramente la colonna non poteva fermarsi in città, a Struga, per cui proseguimmo lungo il fianco orientale del lago scendendo per la R1208. Gli autisti chiaramente non stavano gradendo il cambio di percorso: la strada assegnata in via ufficiale, essendo in gestione alle forze armate della coalizione, erano abbastanza ben tenute, mentre quella su cui ci stavamo spostando era poco più di una carrettiera, e gli autisti pregavano tutti i santi, di cui conoscevano il nome, nella speranza di avere la grazia di non incrociare un altro carro in contro mano, perché in quel caso la cose si sarebbero messe piuttosto male.

La voce tonante del capo gracchiò attraverso l’altoparlante della radio di bordo: «Ci fermiamo prima di entrare in Kalishta: c’è un campeggio, in questo periodo non frequentato, quindi il proprietario, per una cifra accettabile, ci farà parcheggiare la colonna li.» Tutti pensammo la stessa cosa: come faceva il capo a conoscere il titolare di uno sperduto campeggio, posizionato prima di uno sperduto villaggio, lungo la costa di uno sperduto lago nel profondo sud della Macedonia? Sapevamo quasi tutti che era una domanda da non porre, e quei pochi, novizi, che non lo sapevano, furono bruscamente interrotti quando si apprestavano a domandarlo. Il capo aveva lasciato un paio di movieri ad indicarci dove deviare per entrare nel famoso parcheggio, che altro non era che un campo di terra battuta, dove, in periodo di piena turistico, erano montate tutte le tende e parcheggiate le roulotte o i camper.

Come da ordini precedenti, la colonna si dispose a cerchio, e subito gli addetti alla scorta, scesero a prendere posizione per proteggere i camion, del convoglio, contro non si sa bene quale nemico assetato di sangue, che poteva piombarci addosso senza preavviso. Ci vollero trentacinque minuti buoni per parcheggiare tutti i grossi mezzi formando un cerchio, ma furbescamente il capo aveva fatto parcheggiare per primo il mezzo con le vettovaglie, e quando l’ultimo mezzo pesante prese posto, e spense il grosso motore, già si poteva sentire uno squisito profumo di pesce alla brace che stava cuocendo, quasi pronto per essere consumato.

Il capo, da buon militare, aveva organizzato tutto: aveva inviato, in avanscoperta, un mezzo leggero con a bordo alcuni cuochi ed il responsabile del denaro e non so quanto pesce comprato al mercato appena fuori Struga. Contemporaneamente aveva dato l’ordine di far spostare, in testa alla colonna, il mezzo con le vettovaglie, che di norma era in coda, così che fosse il primo ad arrivare al parcheggio ed iniziasse, subito, a disporre le panche ed i tavoli e, contemporaneamente, accendere i fuochi per le graticole. Per ultimo, il mezzo del capo che chiudeva la colonna, così che fosse certo che tutti i mezzi fossero arrivati. Insomma in trentacinque minuti eravamo tutti giù dai mezzi intorno alle graticole aspettando, con la bava alla bocca, un pasto che di certo non ci aspettavamo di fare durante quella missione. Era previsto, sia per il viaggio di andata, che per quello di ritorno, razioni K. Non che fossero malaccio, ma volete mettere del pesce fresco, appena pescato, e cotto?!?!?

Questo era uno dei motivi per cui tutti, e dico tutti, si proponevano sempre come volontari, quando c’era da organizzare una colonna di mezzi per Durazzo, ma anche per Pec o Pristina, le mete più frequenti da Skopje dove parte del nostro esercito era stanziato. Quando il capo avvisava di cercare gente per un trasferimento di materiali, c’era la corsa ad offrirsi. Certo c’erano figure che chiaramente erano già destinate, per incarico, come gli autisti, a questi viaggi, ma la sicurezza, di solito, era costituita da ragazzi presi, a caso, dal battaglione per la specifica avventura.

Passò un’ora da quando fu servito il primo pesce, ed il capo cominciò ad abbaiare ordini ai suoi ufficiali, affinché disponessero la pulizia del posto, e che gli autisti si preparassero a partire. Chiaramente in quell’ora erano stati fatti ruotare i ragazzi addetti alla vigilanza dei camion parcheggiati: con il capo non c’era rischio che qualcuno restasse a digiuno, salvo non lo volesse di propria volontà. Il capo aveva l’abitudine di riportare, alla base, qualsiasi rifiuto si fosse generato in queste occasioni: non voleva che restassero tracce dei nostri bivacchi diciamo… non previsti, per non dire proprio non autorizzati!! E poteva contare sul silenzio dei ragazzi, perché sapevano tutti che se la cosa fosse diventata nota, i viaggi successivi sarebbero stati con un altro personaggio come capo e senza alcuna sosta del genere, quindi razioni K, per tutto il tragitto di andata e ritorno.

Non ho mai saputo, ne indagato, se il comando a Skopje sapesse, in realtà, di queste soste, ma se lo sapevano facevano finta di nulla, così che in caso di problemi, la colpa sarebbe stata solo del capo e di nessun altro: classica mentalità militare italiana di quei tempi. Due ore dopo il movimento tattico del mezzo delle vettovaglie, eravamo già di nuovo sulla E-852 in direzione di Durazzo e, un po’ per mancia al titolare del campeggio, un po’ per gratitudine dei ragazzi, ed un po’ per l’accurata pulizia del posto prima di sparire, nessuno avrebbe potuto sapere della nostra sosta, salvo qualcuno dei presenti non avesse cantato!!

Percorremmo la strada attraversando Kalishta e poi deviammo, su una specie di mulattiera che, pomposamente, veniva chiamata strada 6330 dagli indigeni, e ci riportammo sulla E-852 in direzione del confine con l’Albania, per poi proseguire verso Durazzo, nostra destinazione. Da quel momento in poi, tutto tornava alla normalità: veniva ripristinato il Lei con i superiori, il saluto verso i più alti in grado, insomma il rientro sulla E-852 era un po’ come uno spartiacque: fine della fratellanza da gozzoviglie, e si riprendeva l’atteggiamento marziale previsto da militari di carriera.

Fu allora che, guardando all’indietro, lo vidi sulla carreggiata della strada: all’apparenza era un normalissimo ragazzino del luogo, ma i miei sensi erano scattati come una molla: quel ragazzino non era quello che sembrava, presi il binocolo, sfilandolo dal collo di un militare che sonnecchiava sul retro, e lo puntai nella direzione del ragazzino, mettendolo a fuoco e, contemporaneamente, incitando l’autista a rallentare fortemente la velocità. In quel genere di situazioni gli autisti non chiedevano spiegazioni: ubbidivano e basta, e per fortuna, il mio autista, nonostante il rapporto di amicizia che si era creato nel tempo, comunque sapeva essere un militare in servizio quando serviva.

Il ragazzino era li fermo a guardarmi: come se, nonostante la distanza che obbligava me ad usare il binocolo, lui riuscisse a vedermi con i suoi soli occhi. «Mi devo fermare, signore?» Mi chiese l’autista in dubbio sul da farsi, «no continua ad andare a questa velocità però, almeno finché te lo dico io.» Continuavo a guardare quel ragazzo che, di rimando, guardava me, ma con i suoi soli occhi. Poteva essere una mia impressione, ma il fatto che i miei sensi fossero scattati quando gli eravamo passati a fianco, mi confermava che dovevo tenerlo d’occhio.

«Raggiungi la colonna, adesso, e poi riprendi la velocità normale» dissi all’autista, che senza chiedere spiegazioni ubbidì immediatamente. «Mi riposo un attimo, occhio a come guidi;» avvisai l’autista, così che non trovasse strano che sembrasse dormissi. Appena messo comodo — per quanto si potesse farlo a bordo di un VM90, lasciai il corpo fisico e mi proiettai, con quello astrale, lungo la strada a ritroso appena fatta dal mezzo. Ritrovai il ragazzino li che camminava, come se nulla fosse accaduto; gli girai intorno un paio di volte, per vedere se percepiva la mia presenza, e salvo non fosse un bravo attore, ne lui, ne la sua aura diedero segno di avermi percepito. Eppure non mi convinceva: qualcosa in questo umano non tornava; aveva l’aspetto di un quindicenne, ma l’aura di una persona molto più matura. Il passo era sicuro, come di chi sapesse dove stesse andando, ma sollevandomi di quota non vedevo case, villaggi, ne città, per almeno un raggio di venti chilometri. Allora dove stava andando?

Pensai ad un pastore, per cui cercai delle pecore, o mucche, ma nulla, inoltre non aveva con se un cane, cosa che se fosse stato un pastore era normale aspettarsi di trovare a fianco a lui. Quello che mi colpiva di più, era la sensazione di potenza che emanava, non a livello di aura, fosse stato così almeno avrei avuto una conferma sui miei sospetti, però si percepiva, in lui, una potenza innata, quasi antica, in quel corpo giovane e appartenente fragile. Decisi che, per il momento, avrei lasciato perdere: avevo una missione da seguire, ed un convoglio da controllare, per cui tornai al mio corpo, stiracchiandomi e mugugnando come fa una persona appena svegliata. «Quanto manca alla prossima tappa?» Chiesi, distrattamente, a chiunque mi volesse rispondere sul mezzo. «Tra un’ora circa, arriveremo al punto per la sosta notturna signore;» mi rispose un caporale dalla parte posteriore del VM90.

In effetti, fu abbastanza preciso: circa un’ora dopo stavamo entrando in un’area boschiva, lungo un tracciato appena visibile, ma ben noto, agli autisti, che ci portò in una radura che era chiaramente già stata usata da altri come campo di transito. I segni dei grossi pneumatici erano visibili dappertutto sul terreno, insieme a quelli dei VM90 e delle più leggere jeep. Gli autisti sapevano già come disporre i mezzi, visto che questo tipo di trasferimento era piuttosto abituale da quando il nostro esercito era coinvolto nelle azioni umanitarie di questo conflitto. Tempo nemmeno quindici minuti ed i mezzi erano disposti per file da cinque, ben coperti ed allineati; il personale addetto al primo turno di vigilanza, già dispiegato ai propri posti, e gli altri presi a montare le tende per la notte, mentre, al solito, i cuochi si davano da fare per dare corrente al mezzo frigorifero con le scorte alimentare ed sccendendo le cucine da campo.

Mentre erano tutti presi, ognuno con il proprio compito, io ripensavo al ragazzo che aveva attirato così tanto la mia attenzione. Ero così abituato a dare, molto, bado alle mie percezioni, che non riuscivo a togliermelo dalla testa: perché aveva attirato la mia attenzione in quel modo quasi maniacale? Perché lui, sembrava, ricambiare l’attenzione dando l’impressione che, la sua di attenzione, fosse concentrata su di me, visto che la colonna, con tutto il personale a seguito, aveva nel suo complesso centoquindici persone che la componevano?

«La sua tenda e pronta signore;» mi disse uno dei caporali addetti alla mansione di montarle, indicandomi quale fosse. «Grazie mille caporale.» E mi diressi verso la tenda. Era una di quelle più piccole, essendo solamente per me, in effetti era progettata per due, ma visto che avevo sempre — che combinazione — la tenda da solo, avevo sempre spazio in abbondanza. Sebbene dovendo fermarci solo una notte era stata montata solo la tenda, senza il solito armamentario che ne facevano parte, come tavolino, armadio brandina ecc. ecc.

Chi si occupava di montare le tende sapeva, per i viaggi già fatti assieme in precedenza, che quando ci si fermava una sola notte usavo il sacco a pelo, a terra, il che gli levava un lavoro da fare: montare la brandina. Forse, era anche per quello, che nessuno voleva condividere la tenda con me!! Aggiungeteci che spesso, prima di dormire, facevo meditazione seduto per terra, usando magari anche incensi, sebbene ci fosse il divieto di accendere sostante infiammabili all’interno della tenda, ed il gioco era fatto: tenda da solo assicurata quasi sempre!

Cenai, al solito, insieme ai ragazzi: i colleghi non vedevano di buon occhio questa cosa che li evitassi durante i pasti, ma era anche un vantaggio per loro: non dovevano tirare a sorte per chi avrebbe seguito i ragazzi durante la distribuzione, ed il consumo del pasto, visto che il regolamento lo prevedeva, senza possibilità ignorare la norma. Il mio autista abituale mi vide e mi fece cenno di avvicinarmi: «le ho tenuto il posto signore.»

Al solito qualche sorrisino comparve su alcuni di quei, giovani, volti in divisa: alcuni pensavano che fosse una forma di opportunismo, avere certe attenzioni per un superiore. Molti altri, invece, sapevano benissimo, che eravamo diventati molto amici, sin dai primi giorni arrivati al campo di Katlanova; di quelle amicizie che nascono spesso, tra militari occupati in uno stesso incarico: molto forti, ma con la quasi certezza, che finito l’incarico e rientrati in Italia, ci si sarebbe persi di vista, tornando ognuno ai propri reparti di appartenenza.

«Allora, che aveva di così interessante quel tipo? Un sospetto terrorista in fasce? Oppure era troppo carino da non darci una sbirciata da vicino?» Mi chiese con un sorrisetto malizioso stampato in faccia. Il nostro accordo era di tenere un comportamento formale, solo in presenza di miei parigrado o superiori: quando si era tra di noi, compresi altri suoi colleghi, potava darmi tranquillamente del tu e prendersi anche certe confidenze, che di norma, nelle forze armate, non sono affatto gradite, in particolar modo tra subalterno e superiore.

«Scemo! Semplicemente mi pareva strano che un ragazzo, così giovane, fosse causalmente sul nostro percorso. Sai che tradizioni hanno da queste parti per gli ordigni esplosivi non convenzionali, e sai benissimo che non vengono esclusi nemmeno i più giovani da questa attività.» L’autista mi guardò un attimo negli occhi, come a cercare di capire se quello che avevo appena detto fosse una scusa o se, davvero, ero serio. «Davvero pensi che userebbero un quindicenne per farci uno scherzo del genere?» Gli era comparsa un’espressione di sgomento più che di paura, sul viso: era un militare di carriera, per cui il rischio era presente costantemente in questo genere di missioni, e quindi questo non lo preoccupava, mentre il fatto che si potesse usare un giovane per creare, disporre ed invitarci, in qualche modo, a finirci sopra, ad una trappola esplosiva non convenzionale lo lasciava basito.

«Poi mettici che l’istinto mi ha messo in allarme, e sai che importanza do al mio istinto.» Parlando in passato gli avevo raccontato diversi aneddoti, comprensibili a lui chiaramente, in cui il mio istinto mi aveva evitato rogne, anche grosse, per cui si era convito, nel tempo, che seguire il mio istinto era, quasi sempre, una buona opzione. «Beh ce c’era di mezzo il tuo istinto, allora hai fatto bene a verificare.» Concluse lui come a dire: «cambiamo argomento che altrimenti mi rovino la cena.»

Il resto della serata passò tranquillo: chiacchiere tra commilitoni, racconti sulle proprie relazioni a casa, chi scriveva alla propria ragazza, chi a mo’ di rabdomante girava con il cellulare tenuto in alto, in cerca di un minimo di campo, cosa inesistente in quella zona, sperando di poter telefonare a casa per sentire una voce familiare. Arrivarono le 22.30 e si apprestava l’ora del silenzio — fascia oraria militare prevista per le ore di sonno; si anche il sonno è regolamentato nella vita dei militari!! — dopo la dichiarazione dell’inizio del silenzio tutti dovevano essere nelle proprie tende e non potevano, almeno teoricamente, più uscirne sino all’ora della sveglia. Chiaramente nel contesto in cui eravamo, all’estero, in un accampamento temporaneo, la vigilanza sulla messa in forza della regola, era meno pressante, per cui si sentivano i ragazzi continuare le loro chiacchiere da dentro le proprie tende, e ragazzi che andavano e venivano dalle tende più vicine, per farsi una sigaretta con l’amico di turno.

Una volta verificato che fossero tutti al loro posto, facendo quello che in gergo militare si chiama contrappello noi responsabili, più alti in grado, eravamo liberi di fare le nostre cose senza dover badare che i ragazzi fossero in giro o che ci vedessero: c’erano quelli che si riunivano per una partita a carte, quelli che si ritiravano a scrivere il proprio diario, quelli che usavano, a turno, il telefono satellitare di servizio per chiamare le rispettive famiglie. Io, al solito mi ritirai: potersi levare la bardatura da viaggio era un momento di relax. Levarsi il giubbotto antiproiettile, il casco, il cinturone con la pistola ed i caricatori, i vari coltelli infilati un po’ dappertutto, dava quasi un momento di distacco dall’attività giornaliera del convoglio, e fino al momento di bardarsi nuovamente, da cima a fondo, era quasi un senso di normalità. Mi misi l’accappatoio e raggiunsi le docce da campo, ormai libere dalla serale presenza costante e continua dei ragazzi che facevano i turni per poter sfruttare l’acqua calda. Per me farla tra gli ultimi non era un problema: erano anni che facevo la doccia fredda, per cui potevo attendere che davvero ci fosse un po’ di silenzio e calma alle docce per poterne approfittare.

Finita la doccia tornai alla mia tenda, passando da quella di un collega a ritirare la pistola, che gli avevo lasciato in custodia il tempo di lavarmi: prassi comune perché le armi non andavano mai lasciate incustodite, sia per regolamento, ma soprattutto per tranquillità del possessore temporaneo dell’arma stessa. Tornato alla tenda mi rivestii, con una tuta, e mi misi comodo per terra sul sacco a pelo, per fare un po’ di meditazione. Non accesi nessuna candela o incenso: quella sera non mi andava. Così nel buio della notte, nel mezzo di un bosco di un paese, a me straniero, cominciai a lasciare che la mente vagasse per conto proprio, in attesa di un pensiero qualsiasi attirasse la mia attenzione così da seguirlo nella meditazione.

Dopo più di un’ora, il viso del ragazzo mi comparve in primo piano, nella mente, stavo quasi per interrompere la meditazione per inveire. Perché mi tornava ancora alla mente quel tizio? «Buonasera» mi disse il visto sorridente. Un momento!!! Nelle visioni durante la meditazioni le persone, gli oggetti, le situazioni non ti coinvolgono mai in prima persona: allora perché l’immagine del ragazzo mi stava salutando? Cominciai a farmi un’idea di cosa stesse succedendo. «Buonasera a te, amico mio.» Usai un tono amichevole visto che, sino a quel momento, a parte riempirmi la mente, non aveva fatto nulla di avverso. «Posso sapere chi sei e perché mi stai dando la caccia da oggi pomeriggio, se non da prima in realtà?» Il sorriso si trasformò quasi in una smorfia di fastidio: «Davvero mi hai sentito tutto il pomeriggio? Allora ha ragione: devo allenarmi di più; credevo non ti fossi accorto che ti seguivo, in attesa di un attimo di calma, per poter conferire con te.» Conferire? Uso casuale di un verbo, o uso voluto… mi poneva due possibili scenari, la risposta a questa domanda. Prima di indagare oltre, il ragazzo dipanò il dubbio, indirettamente, da solo: «Maestro del Mattino ti aspettavo: mi era stato detto che eri nel mio paese, e che saresti transitato da queste parti, ma non credevo così presto.»

Ok, conosceva il mio nome mistico, e questo voleva dire che doveva essere un giovane mago, o più probabilmente un apprendista mago, ma il perché sapesse il mio nome mistico, questo non lo spiegava affatto. «Come sai che sono io, davvero, il Maestro del Mattino?» Rispose subito, senza esitazioni: buon segno, voleva dire che non stava mentendo o cercando di ingannarmi. «Mi è stato detto dalla Creatura delle Colline che vive qui.» Come che vive qui? Io sapevo che la Creatura delle Colline era sempre, o quanto meno spessissimo, nella mia zona, allora come faceva a stare spesso anche in questo posto. O parlavano di due diverse Creature delle Colline, oppure la mia Creatura delle Colline era un gran girovago.

«Dimmi, giovane mago, hai mai visto fisicamente la Creatura delle Colline di cui parli?» l’immagine del ragazzo cambiò con una smorfia, come si fosse offeso. «Signore, se sta facendo un test per capire se mento, lo posso capire, ma chiunque sa, che la Creatura delle Colline non ha una forma fisica, quindi è impossibile che io l’abbia mai vista.» A questo punto ero quasi tentato di pregare la Creatura delle Colline di raggiungerci: c’era qualcosa che mi sfuggiva in tutto questo discorso fatto dal ragazzo. Però disturbare la Creatura delle Colline per una cosa che non fosse certa, la trovavo una cosa piuttosto antipatica: rischiavo di contrarre un debito con lui e non era una situazione che mi piaceva poi così tanto. Decisi, per cui, di aspettare a chiamarlo e di vedere dove questo giovane mago sarebbe andato a parare. «Allora mio giovane amico, cosa può servirti dal Maestro del Mattino che un mago anziano del posto non possa darti?» Gli chiesi senza tono di sfottò, visto che non conoscevo ancora il problema che mi avrebbe proposto.

Il giovane sembrava quasi sollevato dal fatto che gli stessi ancora dando bado, il che mi fece realizzare che probabilmente temeva un rifiuto immediato senza nemmeno che mi ponessi il dubbio di che problema avesse. Non era da me rifiutare una richiesta di aiuto, quanto meno se non conoscevo ancora la natura della richiesta. «Da qualche settimana il nostro bestiame ha iniziato a stare male: inizialmente abbiamo pensato a qualche infezione, ma i veterinari non riescono a capire che cosa sia. Da li a poco tempo, sapendo che sto studiando per diventare Stregone, hanno chiesto una mia opinione.» Dovevano essere messi male come presenze di Stregoni sul territorio, per chiedere lumi ad uno studente, ma questo lo pensai tra me e me, perché non volevo offendere il mio nuovo giovane amico.

«E tu cosa hai rilevato? Qualcosa di mistico o solo una malattia fisica del bestiame?» Gli chiesi. Sembrò essere incerto sul come rispondermi; «Coraggio esponi la tua idea…» lo incitai. «Secondo me è stata lanciata una maledizione su tutto il bestiame da latte, perché i cavalli ne sono immuni: solo mucche, capre e pecore ne sono afflitte;» disse tutto d’un fiato. Sembrò trattenere il respiro, attendendo una mia risposta, per cui per evitare che si soffocasse gliela diedi subito: «Può essere: d’altronde una malattia che coinvolga due tipi diversi di specie, in effetti suona un po’ strano.» Vidi chiaramente il ragazzo prendere fiato e calmarsi. «Ma dimmi, il tuo maestro, dove si trova? Dovrebbe aiutarti lui a risolvere questo problema.» Il ragazzo si incupì in maniera evidente: «ha dovuto raggiungere i genitori improvvisamente ammalati: temo che abbiano colpito i genitori del mio maestro, per allontanarlo e poi colpire il bestiame qui da noi.»

Il suo ragionamento non faceva una piega in effetti: il problema, semmai, era chi, e perché! «Dunque: io posso aiutarti a capire se, e quale maleficio possa essere stato fatto, ma secondo te cosa è più importate di questo?» Lo misi alla prova per capire quando sveglio fosse. «Beh sicuramente trovare chi ha fatto il maleficio, altrimenti una volta risolto, colpirà di nuovo, in altro modo, almeno credo.» Ero soddisfatto: il suo maestro aveva scelto bene in effetti. «Bene… portami dove è iniziata questa infezione, che vediamo insieme cosa si può fare.» L’apprendista sembrava perplesso: «Maestro del Mattino, grazie per il tuo aiuto, ma sono già le cinque del mattino: per venire qui e tornare ti ci vorrà tempo: se al loro risveglio la trovano in viaggio astrale sanno cosa fare del corpo?» Mi veniva da sorridere, ma evitai affinché il ragazzo non fraintendesse. «Capisco che non hai iniziato ancora a muoverti astralmente: mi stai solo contattando, per quello vedo solo il viso. Capirai, quando inizierai lo studio astrale, che nel muoversi non c’è la dimensione tempo nella dimensione astrale: pensa alla stanza in cui sei ed io arriverò appena ti sarai concentrato abbastanza.»

Lo fece senza porre alcuna resistenza e mi trovai all’interno di un locale che era chiaramente una stalla in disuso. «È qui che ti alleni di solito?» Mi fece cenno di si e si mosse, fisicamente lui, verso un casolare che si vedeva, non troppo in lontananza. Lo seguii con il corpo astrale mentre gli chiedevo alcuni particolari sulla questione. Quando arrivammo davanti la stalla, della prima persona colpita dal maleficio, percepii la cattiveria impiegata per lanciarlo. «Qui abbiamo a che fare o con una persona non avvezza alla magia, oppure a qualcuno che la conosce, ma è così incattivito da qualcosa, che non si è preoccupato minimamente di porre dei limiti al danno che stava avviando. Hai idea di chi possa essere stato?»

Notai il suo cambiamento di aura, mentre cercava maldestramente di cambiare argomento: «Si può fare qualcosa per queste povere bestie? Sembra che soffrano molto.» Non avevo intenzione di riprenderlo per non avermi risposto, non almeno finché non avessimo risolto il problema. «Sai preparare un sigillo di arresto?» Gli chiesi sbrigativamente, immaginavo già di no: il suo livello di preparazione era piuttosto basilare e, come avevo previsto, non lo sapeva fare. «D’accordo, visto la situazione straordinaria faremo qualcosa di straordinario: ti passerò io la conoscenza, necessaria, per creare i sigilli che ti serviranno.» Chiaramente il giovane apprendista sapeva di che parlavo, e credeva anche che stessi davvero facendo una cosa straordinaria: di norma gli stregoni non si passano le informazioni in questo modo. La magia, di norma, va appresa, non trasmessa, cotta e servita, dall’apprendista di turno, ma non c’era davvero tempo: quelle povere bestiole sembravano davvero ormai arrivate agli ultimi sforzi per restare in vita. «Che devo fare Maestro del Mattino ?» Mi chiese il giovane; «Meglio che ti siedi, visto la mole di informazioni che ti passerò, potrebbe girarti un po’ la testa a travaso finito.» Il ragazzo si sedette per terra, tra le povere bestie morenti, in attesa di cosa non sapeva bene nemmeno lui.

Selezionai i miei ricordi sui sigilli, la loro natura, la loro pericolosità, la loro preparazione e la loro messa in posa. Una volta messi nell’ordine giusto i ricordi li trasferii, con un incantesimo, al giovane allievo che sussultò per un attimo all’arrivo di tante informazioni. Trenta secondi dopo era in piedi, con tutte le informazioni necessarie per fare quello che serviva. «Adesso mettiti all’opera, io mi sposto dall’altra parte del villaggio e mi occupo di quella metà tu occupati di questa. E così facemmo: in meno di trenta minuti avevamo fatto tutto quello che ci era possibile ed in effetti le bestie, colpite per prima, iniziarono a riprendersi in quel lasso di tempo. Quanto tornammo alla prima stalla il ragazzo, quasi incredulo mi disse: «Guarda, Maestro del Mattino si sono già rialzate!!» Mi faceva un po’ tenerezza: era chiaramente ai primi rudimenti di magia, per cui davvero non immaginava l’effetto così immediato di un sigillo su un maleficio. Sentii le campane del paese battere le sei. «Adesso devo andare: mi ricongiungo al mio corpo, ma stanotte torno da te, così passiamo alla fase successiva del nostro lavoro: trovare chi ha fatto questo. Tu intanto cerca di pensare chi potrebbe avere conoscenze, e motivazioni di farlo, ed al mio ritorno provvederemo a vedere se hai ragione o meno.» Di nuovo vidi quell’ombra scura nella sua aura: sembrava dispiaciuto per chi aveva fatto quel danno perché immaginava che avrebbe pagato per le conseguenze del suo agire: ed aveva ragione in pieno!!.

«Salute a te Maestro del Mattino» era evidentemente il saluto cerimoniale che gli era stato insegnato, «Salute a te giovane allievo» gli risposi e mi proiettai indietro nel mio corpo. Feci giusto in tempo, appena ripreso controllo del corpo, intorpidito per le ore di immobilità, il mio autista batté rumorosamente sull’entrata della tenda. «È sveglio, signore?» Gli risposi di si e che sarei arrivato subito: sapevo che mi stava aspettando per andare a fare colazione assieme. Altra cosa che i miei colleghi non gradivano, ma a dirla tutta, la colazione dei ragazzi era molto più gustosa e abbondante delle nostre. E poi qualcuno, comunque, doveva controllarli, per cui di nuovo mi erano grati, per averli levati d’impaccio. Erano così contenti di fare colazione, pranzare, e cenare con il capo, che, di certo, erano felici se qualcuno si occupava dei ragazzi, salvandoli così dall’essere assenti ad uno di quei momenti sociali, con il capo, che tanto apprezzavano. Così eravamo contenti tutti!

Passammo la giornata in viaggio, rispettando le pause previste per gli autisti: eravamo dell’esercito, ma non eravamo delle bestie!! Ogni due ore, facevamo una sosta per fare cambio degli autisti, una questione di cinque minuti non di più, ma agli autisti faceva piacere che si tenesse in giusta considerazione lo sforzo che facevano a guidare quei bestioni per strade con buche, che se ci finivi dentro, difficilmente ne uscivi da solo: un incidente del genere ti poteva far perdere anche un’ora, tra scaricare il mezzo, agganciarne un altro, con l’argano, tirarlo fuori dalla buca, ricaricare il mezzo e ripartire. Ed i nostri autisti erano particolarmente attenti a quelle buche, che ormai conoscevano fin troppo bene.

Nel tardo pomeriggio arrivammo a Durazzo, e sbrigate le formalità di cessione dei materiali trasportati dovevamo aspettare l’indomani mattina per caricarne altro e partire alla volta del campo base, a Skopje. Questo voleva dire, e loro lo sapevano, che i ragazzi erano liberi sino al mattino successivo, eccezion fatta per le cose obbligatorie da regolamento: ammaina bandiera, contrappello, silenzio, sveglia, ed alza bandiera.

La maggioranza di loro si fiondò in tenda a levarsi la tenuta da lavoro, e mettersi in costume per andare a fare un bagno: quando gli ricapitava il mare in Macedonia? Chiaramente serviva qualcuno che li controllasse: i bagnini erano forniti dalla base stessa, ma serviva qualcuno del reparto, per questioni di responsabilità. Mi pareva di sentire i pensieri dei miei colleghi: «Dai vai tu: stai sempre con loro adesso non ci piantare in asso, che noi possiamo uscire e fare un salto in città.» Eh i miei colleghi… in ogni caso come loro speravano, dissi come se nessuno se l’aspettasse: «Ragazzi, voi andate pure: io resto in spiaggia a controllare i nostri baldi giovani. Non ci possiamo permettere di perdere qualche autista, che parte in quarta appresso a qualche signorina locale;» dissi strizzando l’occhio al collega più noto per essere il dongiovanni del gruppo. Nessuno si comportò come se fosse un atto dovuto —e meno male!!— quindi ci fu tutto un ringraziare, strette di mani e pacche sulle mie, povere, spalle. Tempo cinque minuti erano tutti spariti a farsi una doccia per poi uscire in direzione della città.

Tutti tranne uno: il capo. Lui non lasciava mai i ragazzi soli; indipendentemente che io ci fossi, o meno, se i ragazzi erano bloccati in caserma, come capitava in questi viaggi, lui restava. L’esperienza gli aveva insegnato che, nonostante tutti dello stesso esercito, i comandanti locali si divertivano a creare problemi ai ragazzi ospitati, nonostante non ce ne fosse motivo. Essendo lui il più alto in grado, se restava, era certo che nessuno li avrebbe disturbati, se non altro perché in caso di discussione, era parigrado con il comandante della base, e quindi nessuno poteva imporgli nulla. La base era sulla spiaggia per cui, la parte corrispondente di bagnasciuga, era stato isolato dal resto del litorale, così i ragazzi potevano approfittarne, sia quelli stanziali, che quelli di passaggio, come noi per farsi una bella nuotata. Già mi immaginavo la faccia di qualcuno, al ministero, quando ricevette da un comandante Alpino, la richiesta di un certo numero di militari con il brevetto di bagnino; sapendo poi, il capo della base, che essendo all’estero, non gli avrebbero rifiutato praticamente nulla di ciò che chiedesse.

Passai il pomeriggio così in spiaggia, rigorosamente sotto l’ombrellone, visto il mio foto tipo, ma non mi dispiaceva: potevo leggere, ascoltare la mia musica. I ragazzi erano tutti professionisti del mestiere: non era una classe di bambini delle elementari: controllarli era solo un proforma. Inoltre in casi di emergenze in acqua, non ero autorizzato ad intervenire: i bagnini erano stati mandati apposta, per cui in caso di allarmi in acqua, potevo solo guardare l’intervento dei baldi giovani brevettati e sperare che tutto andasse bene.

Erano le diciotto, quasi ora di cena; ero impaziente arrivasse il buio per potermi isolare, e raggiungere il giovane mago, per vedere di concludere la faccenda, nel modo corretto, ma il tempo sembrava non passare mai. Come sempre succede in casi simili, più ci pensi e meno il tempo passa! Cenai, al solito con i ragazzi, e al solito passammo il tempo tra le cena ed il contrappello, chiacchierando del più e del meno con i ragazzi. Verso le 21,30 il primo segnale che il tempo stava passando: molti ragazzi salutarono e si ritirarono per andare a fare una doccia prima coricarsi, alle fine restammo io, il mio autista ed un paio di caporali. Ventidue e trenta: gli ultimi salutarono e visto che avevano già fatto la doccia prima di cena, si diressero verso le rispettive tende, finalmente ero libero di muovermi per poter fare quello che volevo.

Attesi che suonasse la tromba con il motivo del silenzio, che indicava che tutti dovevano essere a letto, o quantomeno tutti nelle proprie tende, senza poter più andare in giro per il campo: era il mio momento. Andai diretto in tenda, mi cambiai e mi sdraiai sul sacco a pelo, così da dare l’impressione di dormire se qualcuno fosse passato per qualche motivo dalla mia tenda. «Salute giovane mago;» salutai il mio nuovo amico appena lo raggiunsi con il corpo astrale. Il ragazzo fece un sussulto: chiaramente non era abituato a contatti da forme astrali. «Salute Maestro del Mattino, spero che tornare non le abbia creato problemi.» Era carino da parte sua preoccuparsi di eventuali noie che mi avrebbe potuto procurare, il tornare da lui: esistevano ancora giovani con del rispetto per gli altri!! Buona cosa.

«Puoi aggiornarmi su cosa è successo durante il giorno?» Gli chiesi. Prontamente mi riportò che tutti gli animali, dentro le stalle, stavano ormai bene, come pure quelli che erano al pascolo, malati, che erano stati fatti rientrare nel perimetro, ormai protetto, del villaggio. «Chiaramente gli animali staranno bene finché resteranno all’interno del perimetro protetto dai sigilli che hai messo. Resta da trovare, ora, chi ha lanciato il maleficio, e costringerlo ad annullarlo. Qualche idea su chi potrebbe essere stato?» Di nuovo quell’ombra scura nella sua aura. Dovevo ammetterlo: era bravo a simulare noncuranza, sebbene la sua aura, chiaramente, indicava che era preoccupato per qualcosa o qualcuno.

«Senti, mio giovane amico, so che hai un’idea di chi possa esser stato, e so anche che è qualcuno che vorresti in realtà proteggere, ma devi renderti conto, che ha cercato di uccidere i capi di bestiame da cui voi dipendente quasi del tutto: non puoi farti prendere dai sensi di colpa, perché magari è un conoscente, un amico o peggio un parente.» Sussultò come se gli avessi dato uno schiaffone: «È così chiaro, Maestro del Mattino, che ho un idea piuttosto precisa di chi potrebbe essere stato?» Ci pensai un attimo, poi decisi di essere sincero con lui: «Il tuo comportamento è esemplare, per quanto riguarda il tuo autocontrollo, ma l’aura ancora ti tradisce. Non è una tua colpa: solo che ci vuole molto più tempo, per governare la propria aura, così da non rendere chiare le proprie sensazioni e sentimenti.» Gli lasciai qualche secondo per assimilare quello che gli avevo detto, poi lo incalzai: «allora chi è stato, secondo te, e perché lo avrebbe fatto?»

Ci pensò ancora un po’ su, ma alla fine decise di essere sincero anche lui: «un’altro apprendista stregone: era l’allievo del mio mentore, ma poi lo ha allontanato, perché usava malamente quello che aveva imparato.» La situazione non era così rara ad accadere: succedeva che qualcuno scelto, come apprendista, si dimostrava interessato alla magia solo per motivi personali: avidità, vendetta, cattiveria ed altre aberrazioni simili. Era compito di un maestro, capire queste intenzioni per tempo, e stroncare l’allievo il prima possibile. Se il maestro realizzava che questi sentimenti erano più forti dell’interesse per la magia, allora era suo dovere allontanarlo e revocargli lo status di allievo. Se necessario doveva anche provvedere affinché tutto ciò che avesse imparato sino a quel momento, lo dimenticasse così da non poter fare danni.

In questo caso il maestro aveva, forse, sperato che l’allievo si ravvedesse, ma non era andata così, visto il danno che aveva inflitto ai poveri animali. «Dici che questo mortale» e calcai sulla parola mortale per non farlo sentire in difetto, «possa aver fatto anche un maleficio ai genitori del maestro, così da distrarlo e farlo partire? E sii sincero nel rispondermi: sai che mi accorgerei se tu mi mentissi.» Il giovane era chiaramente dibattuto tra il dubbio di accusare qualcuno, che chiaramente conosceva da tempo, o cercare di giustificarlo in qualche modo, ma ne uscì alla fine rispondendomi: «Si è molto probabile a questo punto: forse non avergli rimosso i ricordi delle lezioni apprese, non è stata una buona idea alla fin fine.» Sembrava che si rimproverasse di qualcosa: forse era stato lui a chiedere, al loro maestro, di attendere, prima di cancellargli le nozioni già apprese, di magia, sperando in un ravvedimento che chiaramente non si era palesato.

«Credi sia in grado di rispondere ad una convocazione astrale?» Gli chiesi e lui fece cenno di si con il capo, come se parlare di questo mortale, adesso, gli pesasse molto. «Allora convocalo ora: dobbiamo risolvere questo pasticcio prima dell’alba, sai il perché.» Lo vidi concentrarsi per qualche decina di secondi, ma nulla accadde. «Si rifiuta di venire: dice che non merito la sua attenzione.» Era chiaro il motivo per cui il loro maestro lo aveva allontanato: una tale mancanza di rispetto, era un indice, di per se, che questo mortale non era degno di apprendere i segreti della magia e che gli andavano revocati i ricordi quanto prima.

«D’accordo: non preoccuparti: ci penso io. Pensa al suo viso, così che possa raggiungerlo, visto che non lo conosco.» Il giovane apprendista lo fece, sebbene chiaramente, di controvoglia. Mi comparve il viso di un altro ragazzo, piuttosto diverso dal giovane allievo: capelli nero corvino, occhi scuri, un espressione, sul volto, che era un misto di soddisfazione per aver rifiutato la convocazione, e la certezza che i sigilli non avrebbero retto a lungo; inoltre era chiaro, dai suoi pensieri, che stava già considerando di potenziare il malefico, generandone un altro all’interno del perimetro di difesa che avevano creato: non lo avrei permesso!»

Il suo corpo astrale comparve dinnanzi a noi mentre, da qualche parte, il suo corpo fisico si era afflosciato, li dove era, senza preavviso: usando un incantesimo di coercizione l’avevo obbligato a raggiungerci. Inizialmente non mi resi percepibile al nuovo arrivato tanto che, si scagliò, con offese e minacce, subito verso il giovane allievo. Poi si fermò e la sua aura mi segnalò che dalla rabbia era passato alla curiosità, ed a conferma di quanto avevo visto sibilò al giovane mago: «Come hai fatto a portarmi qui di forza: tu non ne sei capace, non ancora almeno!» Senza farmi vedere gli dissi con tono grave: «infatti ti ha obbligato il Maestro del Mattino, ed ad una mia convocazione non si risponde di no!» Al solo sentire il mio nome mistico la sua aura comincio a cambiare repentinamente di colore: sentimenti altalenanti lo sopraffacevano.

Probabilmente si domandava se fossi davvero chi avessi detto di essere e, al contempo, si chiedeva come fare per scappare da li. «Te lo puoi scordare: non vai da nessuna parte finché non deciderò altrimenti! Ora voglio sapere che maleficio hai lanciato sul bestiame, e lo voglio sapere ora!» E per fargli capire che non scherzavo gli lanciai un incantesimo di intensificazione del dolore per qualche secondo. La sua mente urlava, per la disperazione generata da quel dolore non fisico, ma non per questo meno duro da sopportare. «Scoprilo da te visto che sei il Maestro del Mattino. Dovresti saperlo fare no?» Il giovane mago intervenne, cercando di aiutare tutto sommato, quel ragazzo che chiaramente conosceva:

«Ti prego non sfidare il Maestro del Mattino: può distruggerti anche solo attraverso il corpo astrale. Digli quello che vuole sapere, e fallo in fretta!» Aumentai la dose di sofferenze ed il giovane, che non era abituato a gestire dolore sul corpo astrale, cedette in poco tempo. Mi disse che maleficio aveva lanciato; quando gli chiesi come lo conoscesse, beffardo mi rispose: «il vecchio —intendeva il suo ex maestro— non tiene i tomi di magia sotto chiave: se hai accesso a casa sua, hai accesso anche quelli.» Avrei dovuto fare un discorsetto con il loro maestro, una volta risolta questa faccenda: prendeva troppo sottogamba la questione sicurezza: i tomi, così come il proprio grimorio o altre raccolte di incantesimi, di norma, erano protetti da incantesimi, più o meno potenti, che ne impedivano la lettura ai non autorizzati.

Ovviamente questo doveva includere anche gli allievi, finché non fossero stati pronti a quei livelli di magia. Non servì nemmeno chiedere che maleficio avesse fatto ai genitori del maestro: se ne vantò spontaneamente, da vero sciocco quale era. Isolai, mantenendo la presa sul suo corpo astrale, l’ex allievo, così da poter colloquiare con il giovane mago, senza essere uditi dallo scellerato: «Ascoltami giovane mago: potrei darti le istruzioni per annullare i malefici, ma sono già le cinque e tra poco dovrò rientrare nel mio corpo fisico. Quindi non offenderti se opererò al posto tuo, non è perché non sei capace, è solo per questione di tempo.» Il giovane annuì, quasi sollevato, dal non avere la responsabilità di un eventuale fallimento. Mi servirono solo dieci minuti per annullare il maleficio fatto sulle bestie. Per i genitori del maestro, ci volle più tempo perché non potevo annullarlo così su due piedi: rischiavo che i corpi, già stanchi per l’età, cedessero allo sforzo del ritornare in forze troppo in fretta. Lanciai l’incantesimo per annullare il malefico, ma lo diluii in modo che facesse effetto in modo progressivo, nell’arco di un paio di giorni.

«Tutto fatto.» Dissi senza tono di enfasi al giovane mago. «I genitori del tuo maestro si riprenderanno in un paio di giorni, mentre le bestie si riprenderanno in poche ore. Tra due giorni dissolvi i sigilli di protezione: inutile che tu sprechi, inutilmente, energia per mantenere in funzione gli scudi. Per quanto riguarda lui: trova il suo corpo fisico e portalo in un posto sicuro: lui resterà confinato qui, in forma astrale, fino al rientro del tuo maestro, così che possa deciderne il destino. Fino ad allora non riuscirà a compere incantesimi o malefici perché lo metterò in una bolla di sospensione: sarà cosciente ma innocuo, finché il vostro maestro non deciderà il da farsi.» Il giovane mago annuì comprendendo le istruzioni, ma era chiaro che avevo qualcosa da chiedermi quindi lo incitai a parlare liberamente: «Dimmi giovane allievo, cosa ti turba, cosa vuoi domandarmi?»

Prese il coraggio a due mani: «Il mio maestro avrà motivo di essere scontento di me? Non sono stato in grado di affrontare il problema da solo, e mi sono permesso di disturbarti, per una cosa che avrei dovuto risolvere da solo.» Mi trattenni da sorridere: poteva essere frainteso un sorriso come risposta alla sua domanda. «Il tuo maestro ha solo motivi per essere fiero di te: hai capito la situazione, ha realizzato che era oltre le tue, attuali, competenze ed hai deciso, giustamente, di chiedere aiuto. Io non vedo motivi per cui non dovrebbe essere fiero di te, per come ti sei comportato. Cosa ben diversa invece per lui…» dissi indicando il corpo, già inerte, dell’ex allievo; «Dovrà decidere una punizione di giusto valore, per cosa ha combinato quell’incosciente. E considera che ha attentato alla vita di due mortali, che non ha un peso maggiore perché genitori del maestro: il nostro giuramento è di proteggere i mortali, non di colpirli!»

Vidi l’aura del giovane schiarirsi a sentire le mie parole. «Quindi,» ripresi «non hai motivo di dare disonore, o vergogna, al tuo maestro, tutt’altro: direi prestigio per la scelta di un giovane che non fosse pusillanime, presuntuoso né avventato, ma in grado di riconoscere i propri limiti e chiedere, di conseguenza, aiuto a chi poteva intervenire in questa ingarbugliata questione.» Pensai un attimo a come concludere il nostro incontro e poi: «lascio a te spiegare al tuo maestro, cosa sia successo durante la sua assenza, e cosa ha provocato i problemi ai suoi genitori. Raccontagli tutto senza escludere nulla: ripeto non hai nulla di cui vergognati giovane apprendista.»

«Salute a te Maestro del Mattino» mi disse il giovane allievo, immaginando che stessi per andarmene. «Salute a te futuro mago;» risposi facendogli eco, ed iniziando il rito di rientro al mio corpo immobile, sul sacco a pelo.

Guardai l’ora: erano le 5,45 e, dopo nemmeno quindici minuti, sarebbe suonata la sveglia: non valeva nemmeno la pena di tentare di risposare un po’. Decisi quindi di approfittare dell’ora presta, per sfruttare la struttura delle docce, che a quell’ora sicuramente, erano esenti da code e dallo schiamazzo mattutino dei ragazzi che si preparavano ad affrontare la giornata. Come immaginavo, il capo, era già a farsi la doccia: anche lui preferiva evitare la confusione mattutina, dei ragazzi appena svegli. Mi vide arrivare: «Buongiorno: anche lei mattiniero vedo;» mi disse, mentre si asciugava i capelli con il cappuccio del suo accappatoio. «Eh si meglio approfittare di questi momenti di calma, così da poter assorbire bene l’impatto dell’onda di energia di quegli scalmanati, appena arriveranno!!» Gli risposi sorridendogli. «Dormito bene?» Mi chiese il capo. Mentalmente sorrisi tra me e me, se solo avesse saputo… «Si: come un ghiro signore» gli risposi dandogli di spalle, affinché non vedesse quel sorrisino che mi si era stampato sul viso!!



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