Strumenti Utente

Strumenti Sito


diario:cap-19

Cap. 19 – L’Arsenale.



Erano circa mezzanotte e cinquanta, quando il piantone, ossia il militare che restava sveglio del gruppo, toccandomi gentilmente la spalla mi svegliò per dirmi che era ora: «Mi spiace, ma all’una ha il giro d’ispezione;» mi disse apparentemente davvero dispiaciuto di dovermi tirare giù dalla branda per quell’infausto incarico. «Grazie.» Gli risposi semplicemente mentre cercavo di riprendermi dall’interruzione così secca dal sonno profondo. Mi vestii, infilandomi prima un maglione aggiuntivo, poi la giacca a vento con la termo fodera — che nome buffo per una cosa che non teneva affatto caldo!! — Ed infine la giacca a vento, cappellino modello montanaro, con para orecchi; sembravo l’omino Michelin, un po’ come tutti i miei colleghi quando dovevano uscire di notte, in inverno, questa era l’unica cosa che mi tirava su: mal comune mezzo gaudio si suol dire no??

Arraffai il mio orologio da usare per le marcature temporali, e vidi che i due ragazzi, che formavano la pattuglia che doveva garantire la mia sicurezza durante l’ispezione, erano già bardati e pronti all’azione. Povero me: se questi ragazzi dovevano garantire la mia protezione, com’era che la quasi totalità di loro aveva sparato una sola volta al CAR, e mai, per altro, in situazioni operative. Non avevano idea di come si sparasse in movimento, e dubito fortemente si ricordassero come si commutava il fucile da manuale in automatico, nel caso dovesse essere servito. Insomma ero più tranquillo con la mia piccola Beretta nella fondina del cinturone, che almeno sulle corte distanze, poteva fare danni sufficienti, da darmi il tempo di squagliarmela, fosse stato necessario!!

Il freddo mordeva la pelle, mentre assonato facevo il mio giro d’ispezione: le mura della cinta dell’Arsenale, nonostante la loro altezza, non proteggevano poi così tanto dall’aria tagliente di gennaio. Era tra i miei compiti, quando ero di servizio, farmi un certo numero di giri della la caserma, per controllare che non ci fossero sezioni di mura cadute —non ridete: era già successo in passato, ed in piena notte!!— estranei in giro per l’immobile o altre anomalie notturne. Di certo quell’ambientazione non serviva a calmare i nervi: l’illuminazione, lungo la cinta muraria della vecchia struttura Asburgica, non aiutava a farti sentire tranquillo quando, insieme a due imberbi giovani che praticamente camminavano ancora dormendo e dovevi farti il tuo giro d’ispezione..

Il comando, per tarpare le ali, ai troppo fantasiosi, aveva seminato lungo la cinta una serie di piccole scatole metalliche, all’interno delle quali, c’era una chiave, che si doveva infilare e girare nell’orologio che ci davano all’inizio del servizio. In questo modo potevano verificare che fossimo andati a fare il nostro giro, all’ora che ci avevano assegnato, senza poterci inventare le peggio scuse, per giustificare il fatto che mancasse all’appello proprio il giro a notte più fonda, a quell’ora in cui te ne staresti volentieri sulla branda, vicino alla stufa a cherosene, per cerare di restare il più al caldo possibile, nonostante la temperatura, che riportava la colonnina di mercurio,— eh si allora si usava ancora il mercurio per i termometri —scendeva ben al di sotto dello zero come valore.

Vidi i ragazzi un po’ strani: «che avete voi due? Non è la prima ispezione che fate.» Chiesi loro. Sembravano riluttanti a parlare, ma qualcosa decisamente li preoccupava. Mi venne da sorridere: la sera, tutti accanto al fuoco, si erano scambiati racconti più o meno paurosi su fantasmi, situazioni paranormali ecc. ecc. per tutto il tempo sino all’ora di coricarsi. Adesso evidentemente erano spaventati all’idea di farsi un giro, per un ambiente così antico, che di morti ne ha visti sicuramente tanti in passato. Pensai che loro non sapevano di essere al sicuro con me, ma se avessi raccontato solo un centesimo delle mie avventure, non avrebbero dormito davvero tutta la notte, altro che paura da ispezione!!

Finito il mio giro, che richiese come abitualmente d’inverno, non più di 20 minuti —d’estate la si faceva con più calma per via del caldo soffocante stante il fiume a quattro passi dall’Arsenale— una volta rientrato, e compilate le solite due righe sul registro delle ispezioni, per segnalare che non vi fosse stato nulla di anomalo, mi sdrai sulla branda, dicendo ai ragazzi che avevano un altra ispezione verso le tre, senza di me questa volta, e di fare piano al cambio: abbastanza piano da non svegliare gli altri in servizio quella notte, e nemmeno me chiaramente!

Mi svegliò verso le tre e dieci un vociare basso ma eccitato: e meno male che avevo detto loro di non svegliare i loro compagni. Tirai le orecchie per capire che stessero dicendo: le voci erano davvero concitate, come se fosse accaduto qualcosa. Ascoltando con più attenzione capii che qualcosa era successo durante il loro giro di ispezione, ma il caporale non ci pensava nemmeno lontanamente di svegliarmi per quelle che, lui definiva stupidaggini. Infastidito, più dal non capire se ci fosse davvero un’emergenza o meno, senza alzarmi dal letto diedi una voce ai ragazzi al di la del muro che ci separava dandomi un minimo di privacy mentre risposavo: «Allora si può sapere che è successo, visto che ormai ci avete svegliati tutti?»

Il caporale lanciò un paio di maledizioni, in siciliano, illudendosi che non le capissi, verso i soldati che avevo appena finito il giro d’ispezione. Anzi a giudicare dall’ora non l’avevano nemmeno terminato: che diamine poteva essere successo? «Ci scusi, ma i ragazzi, qui hanno interrotto l’ispezione perché hanno visto qualcosa e sono tornarti indietro. Alzando la voce così che anche i due malcapitati mi potessero sentire: «Spero abbiate una buona ragione per aver interrotto l’ispezione, sennò domattina sono guai al controllo.» Lo dissi con il tono da loro superiore, non da loro amico come al solito. il più anziano dei due alzando la voce per farmi sentire provò a giustificarsi: «signore le garantisco che c’era un motivo più che valido.» Restai in attesa del resto della frase, con la motivazione valida, ma non arrivò. Ormai ero sveglio, per cui mi alzai ed andai dall’altra parte del muretto che divideva il mio angolo branda dalla rispettiva zona brande dei ragazzi.

«Allora, calma e sangue freddo, e ditemi che è successo;» dissi loro, cercando di non far trasparire il mio fastidio per quella sveglia in piena notte. Uno dei due, un napoletano, prese a dire in modo concitato: «C’erano i fantasmi!!!!» Non sapevo se scoppiare a ridere o se alterami: i fantasmi in Arsenale ci sono sempre stati: la novità semmai, era se li avessero visti!!! Guardai anche l’altro componente della pattuglia: «Li hai visti pure tu?» Questo era un ragazzone della provincia bergamasca e con il suo tono piuttosto roboante, dopo un po’ si decise a rispondere: «Io non so cosa ho visto, ma l’aspetto era piuttosto inquietante: o era uno scherzo con qualcuno in maschera, oppure non saprei proprio dire cosa fosse.»

Questo almeno si poneva il dubbio su cosa avesse visto, mentre il napoletano era certo al 100% di aver visto dei fantasmi. Come spiegargli che erano li da sempre, ma non si erano mai fatti vedere dalle persone comuni, per cui non si spiegava questa improvvisa manifestazione? I due ragazzi mi guardavano più preoccupati della mia reazione all’interruzione dell’ispezione notturna, che non per la presunta presenza dei fantasmi in caserma. Alla fine dissi loro quello che speravano di sentirmi dire: «D’accordo!! Andiamo a vedere dove sono questi benedetti fantasmi.» Sembrarono quasi rilassarsi, ma quando aggiunsi: «chiaramente voi due venite con me: io non so dove li avete visti;» persero subito il buon umore, durato pochi secondi.

Mi rivestii e uscimmo dal corpo di guardia trovandoci tre possibili direzioni da prendere: di fronte, per raggiungere la palazzina del comando, a destra per costeggiare la palazzina da dove eravamo usciti, in direzione del parcheggio dei mezzi in disuso, oppure a sinistra verso gli alloggi dei militari. «Allora da che parte?» Domandai, il napoletano mi rispose «Dellà» indicando vistosamente il parcheggio alla nostra destra, in fondo al viale poco illuminato. Nemmeno a farlo apposta si era alzato un vento freddo che faceva turbinare le foglie, cadute a terra durante la notte.

Arrivati alla zona deposito mi guardai in giro e li vedi: due figure evanescenti, di una tonalità verdognola, di soldati vestiti con divise del periodo asburgico. Cercai di non far capire loro che li avevo visti. «Allora dove erano?» Controllai le loro auree, per capire se li stavano vedendo ancora o meno, ma sembrava di no al momento. C’era un accordo con gli spiriti nativi dell’Arsenale: loro potevano restare e fare quello che gli pareva, purché non coinvolgesse il personale che li dentro ci viveva e, o ci lavorasse.

Il fatto che li avessero visti, ed in due per di più, escludeva un incontro fortuito con qualcuno che avesse la capacità di interagire con gli spiriti; quindi o erano stati disattenti, cosa che escludevo a priori conoscendoli, oppure lo avevano fatto apposta; ma in questo caso perché l’avrebbero fatto? Erano centinaia di anni che girovagavano all’interno dell’antica fortezza austriaca. Quando avevo offerto loro la possibilità di aiutarli a progredire e passare oltre, non avevano voluto. Non che la cosa mi avesse stupito: raramente spiriti così a lungo legati ad un immobile, volevano cambiare aria, ma fu proprio in quell’occasione che si era stipulato il nostro patto.

«Ok io qui non vedo nulla e voi ve la state facendo sotto: rientrate al corpo di guardia che finisco il giro d’ispezione da solo.» Ebbero due reazioni opposte alla mia affermazione: il napoletano era già pronto a ritirarsi di buon ordine, e molto ma molto velocemente. Il bergamasco, seppur spaventato, si sentiva un po’ in colpa lasciarmi, da solo con quelle entità che lui sapeva di aver visto, e che potevano ricomparire una volta che io fossi rimasto solo. «Veloci!!» Li intimai con un tono che toglieva ogni dubbio sul fatto che io avessi fatto una proposta o dato un ordine, per cui i due voltarono i tacchi e, piuttosto di fretta, tornarono indietro.

Mi addentrai nel parcheggio, di mezzi in disuso, che sapevo benissimo essere uno dei loro posti preferiti, non chiedetemi perché, ma a loro piaceva un mondo girovagare tra carri e jeep ormai morte ed irrecuperabili. «Allora signori, cos’è questa novità? Mi pare avessimo stipulato un patto piuttosto chiaro: voi non vi fare notare ed io non vi caccio dall’Arsenale.» Dissi a voce alta, come un matto che parla all’aria. Come mi aspettavo arrivò ls risposta in pochi secondi: «ma noi stiamo quasi sempre qui, perché vuoi cacciarci Maestro del Mattino?» Evidentemente volevano farmi passare per scemo: «Vediamo di non fare i furbi: perché diamine vi siete fatti vedere dalle guardie che stavano facendo l’ispezione prima?» Chiesi con tono fermo di qualcuno che si aspetta la verità e null’altro come risposta.

«Stavano parlando di fantasmi, case stregate, poltergeist e la tentazione è stata troppo forte: non farcene una colpa Maestro del Mattino: anche noi, ogni tanto, amiamo interagire con i mortali.» Potevo solo immaginare la noia che doveva soffrire nel passare decadi e decadi sempre nello stesso posto, ma non potevo accettare che iniziassero a uscire dal seminato che si era concordato. «Per questa volta lascio perdere, ma ripetete questo errore e dovrete trovarvi un’altro immobile da infestare.»

Speravo che la fermezza nella voce, fosse sufficiente a far capire loro che non stavo scherzando e, sapendo chi ero in realtà, sapevano anche che avevo i mezzi per costringerli a traslocare, o peggio ancora dal loro punto di vista, farli passare oltre. Non ebbi più risposta da loro, per cui presi quel silenzio come un assenso. Terminai il mio giro, usando ad ogni punto prestabilito, la chiave per marcare l’ora sul segnatempo dei ragazzi, e quindi rientrati. «Allora che ha trovato» mi chiese subito il militare napoletano. «Nulla di che: ho fatto il giro completo due volte —buona giustificazione per il tempo che ci avevo impiegato— e non c’era nulla di strano.

La prossima volta che uscite, il cordiale bevetelo al rientro dall’ispezione, non prima!» Quest’ultima battuta era per far capire loro che credevo che quello che era successo loro, in realtà, era dovuto al troppo alcol in corpo. Era un errore comune dei più giovani bere il cordiale, fornito loro in inverno, prima di uscire al freddo e non dopo essere rientrati: il cordiale, come qualunque altro alcolico, resta un vaso dilatatore. L’effetto della vasodilatazione è quello di farti raggiungere in fretta la temperatura ambientale; per quello va bevuto al rientro da una camminata al freddo e non prima di uscire: se lo bevi prima diminuisci il tempo necessario perché il corpo si raffreddi, passata la sensazione dell’onda di calore dovuta all’effetto dell’alcol sul palato.

Era chiaro che i due ragazzi restavano certi di aver visto quelle due figure, e che, per quanto li riguardava, non era stato certo un effetto del troppo alcol in corpo!! Loro per primi, comunque, erano interessati che la faccenda si chiudesse li, affinché non girasse la voce che si erano spaventati, tra i loro commilitoni. Dal canto mio decisi di aspettare e vedere cosa sarebbe successo, alla successiva uscita nel buio, per l’ispezione che era stata programmata per loro intorno le cinque del mattino. Per intanto mi sdraiai nuovamente sulla branda e cercai di prendere sonno.

Nel sonno sentii movimento nel corpo di guarda: erano quasi le cinque, e i due a cui toccava l’ispezione delle cinque stavano cercando di prepararsi quando più in silenzio possibile. Il caporale consegnò loro le armi e l’orologio dicendo «Mi raccomando, non fate come quegli altri due: se vedete dei fantasmi semplicemente non parlateci e finite il giro. Non credo che se lo svegliate per fargli fare un altro giro al posto vostro, stavolta la prenda bene come prima!!» Il caporale era uno sveglio: quello che temeva non erano i fantasmi, ma la mia possibile cattiva reazione ad un’altra sveglia fuori previsione. Col tempo avevano imparato che per quanto fossi il loro superiore, che meglio si integrava con loro, non era uno spettacolo da augurarsi di vedere, quando mi giravano male.

Chiaramente il caporale non sapeva che non avevo nessuna intenzione di dormire: volevo essere sicuro che i due fantasmi facessero i bravi per cui, restando sulla branda, apparentemente addormentato, mi staccai dal corpo fisico e seguii la pattuglia con il mio corpo astrale. I ragazzi se la stavano prendendo con comodo: erano usciti da più di 5 minuti, ma erano praticamente ancora all’inizio del percorso da fare: ci credo che rispetto a me ci mettessero più del doppio a fare il giro intero. Anche se magari era la paura di incontri spiacevoli a rallentarne il passo. Arrivarono con molta calma all’ingresso del famoso deposito dei mezzi defunti: li sentivo parlare di cosa era accaduto al turno precedente, ma sembravano abbastanza con i piedi per terra, da non farsi intimorire dal racconto riportato dai due loro predecessori.

Successe tuto in un attimo: qualcosa colpì uno dei due ragazzi che si girò di scatto verso il proprio compagno di avventura e lo guardò incuriosito, più che spaventato: «Perché mi hai dato uno scapaccione?» Chiaramente l’altro non capiva, considerando che non vedeva quello che vedevo io: c’era un altro fantasma, che non aveva nulla a che fare con i due soliti che conoscevo. Mi mascherai immediatamente, così che non potesse percepirmi, non subito almeno. Questa nuova entità non era così antica come i miei due soliti compari in divisa. Era vestito con abiti più dei nostri giorni, il che non era un buon segno: da poco morto. Di solito noi vediamo i fantasmi con il vestiario che indossavano al momento del trapasso, o qualcosa di molto simile.

Un da poco morto può essere una discreta gatta da pelare, se non si hanno le conoscenze ed i mezzi adatti ad affrontarlo. Non perché siano spiriti cattivi, ma sono così presi dal fatto di poter interagire con i mortali, senza essere visti, che questa cosa prende spesso loro la mano, esagerando con i loro comportamenti. Altri invece sono totalmente affranti, perché realizzano di essere deceduti e di essere bloccati in qualche modo sul nostro piano di esistenza, senza poter avere contatti con la maggioranza dei mortali. Insomma il decesso, recente, poteva venir affrontato in maniera diversa, a seconda di chi fosse il soggetto, e come stava vivendo il soggetto nel periodo premorte.

Di certo questo era un giovane, all’apparenza non più di 18/20 anni. L’eta apparente di uno spirito di solito corrisponde all’età della persona al momento del decesso. Il fatto che fosse un burlone, poteva dare un’idea sbagliata sul soggetto, ossia che fosse un burlone anche in vita. In realtà poteva voler indicare una delle peggiori situazioni in questo caso: quando uno spirito non si adatta al nuovo status di non vivo, può prendere la strada peggiore, ossia quella di iniziare a scherzare con i mortali, fino ad arrivare ad un punto in cui, il disappunto del mortale, diventata una specie di droga per lo spirito, quindi si muove sempre più in la, verso un limite, che se raggiunto, raramente permette di tornare indietro.

Quando questo limite viene valicato lo spirito diventa quello che, tra gli addetti ai lavori, viene chiamato Poltergeist, e non è certo uno spirito con cui si ha a che fare volentieri: la sua cattiveria si alimenta dal soffrire delle sue vittime; i loro attacchi con il tempo diventano sempre più fisici e meno spirituali. Difatti un poltergeist può creare grossi danni fisici distruggendo mobili, arredi, oggettistica e colpendo materialmente il fisico delle sue vittime; una delle poche cose che gli riesce difficile è la possessione.

Questo spirito era divenuto tale, davvero da poco: manifestava ancora un attaccamento alla vita reale: lasciava una specie di scia che lo collegava alla terra, ma sarebbe durata poco. Normalmente, il collegamento con la terra, si dipana in tempi piuttosto veloci, dopo il trapasso. Sembrava, però, che questo fantasma fosse legato alla terra da più tempo, di quanto non avrebbe dovuto. La cosa si capiva da come interagiva facilmente con il corpo fisico di un mortale: questa era una cosa da imparare con il tempo, di norma gli appena morti non riescono ad interagire con la materia del nostro piano dell’esistenza: serve esercizio e pratica per riuscire a farlo ogni volta che si vuole. E questo era un altro segno che questo spirito stesse imboccando la strada per divenire un poltergeist. Che fare? Semplicemente allontanarlo dall’immobile? Aiutarlo a passare al livello successivo di realtà cui era destinato? Oppure fare finta di nulla sperando che, con il tempo, se ne sarebbe andato da solo— cosa assai poco probabile —.

Nel frammentare lanciai un incantesimo sui due ragazzi, così che lo spirito non potesse più raggiungerli: per lui divennero immateriali e quindi non più disturbatili. La cosa lo fece alterare non poco, ma non potendomi percepire, non sapeva con chi prendersela. Comincio ad attaccare verbalmente i due soldati fantasma, i quali capendo che mi ero occultato solo al nuovo arrivato, gli dissero solo che in quel posto vigevano delle regole alle quali, o lui si adattava, o avrebbe dovuto cambiare aria in fretta.

Il da poco morto non prese per nulla bene la cosa: cominciò a lanciare in aria pezzi dei mezzi presenti in quella specie di piccolo cimitero per automezzi. Non andava bene così: fosse passato un mortale avrebbe addirittura potuto ucciderlo. Mi resi visibile anche a lui mente gli dicevo: «Così non va ragazzo mio: come ti è stato già detto qui vigono delle regole e vanno rispettate, pena l’allentamento forzato.» E calcai volutamente il tono sulla parola «forzato». Il giovane spirito, potendomi vedere ora, mi affrontò: «Se ce una cosa che ho imparato in questo poco tempo, e che uno come te, un mortale, non può nulla contro uno di noi, per cui levati di torno senno ti faccio passare la fantasia di disturbare uno come me!»

Chiaramente il ragazzino non si rendeva conto di in che guaio stava rischiando di cacciarsi ed uno dei due fantasmi dei soldati, cercò di avvisarlo: «Non sfidarlo: lui e il Maestro del Mattino e non si può sfidarlo senza poi pagare il prezzo di una tale azione stupida!!» Il giovane gli rispose chiaramente in malo modo: «non me ne frega di chi sia, poi che sarebbe un Maestro del Mattino? Qualcuno che dovrebbe farmi paura? Tanto ho già sperimentato che nessuno dei mortali può interagire con me.» Il tono di voce dell’ultima parte della frase era cambiato: indicava chiaramente un dispiacere profondo, era chiaro che aveva capito cosa gli era successo ed in alcuni momenti si rammaricava di questo. Forse era ancora recuperabile, forse.»

«Il fatto che stia parlando con te, non ti fa sorgere il dubbio che io non sia, esattamente, un comune mortale?» La domanda era chiaramente proforma: doveva averlo capito per forza, chissà quante volte aveva tentato di contattare mortali, da quando aveva capito di essere morto, ed ero sicuramente il primo che interagiva con lui. «Già perché tu, a differenza degli altri, mi stai rompendo le scatole? Perché non subisci e te la fai sotto come succede di solito?» Domande più che lecite da un da poco morto e le risposte potevano arrivare in due modi diversi: verbalmente, o con una dimostrazione di forza. Volli, al momento evitare la seconda situazione, almeno finché fosse stato possibile evitarela.

«Perché io sono uno stregone, ed il fatto di esserlo, mi permette di vederti, interagire e, se servisse, anche costringerti.» «Mi stai minacciando?» Fu la sua prima e unica osservazione. Feci un respiro profondo per cercare di non arrabbiarmi: «il Maestro del Mattino non minaccia nessuno: il Maestro del Mattino, se costretto, fa. Punto». Le due figure evanescenti in divisa storica annuirono come a confermare quello che avevano appena detto. «Tanto che altro puoi farmi: sono già morto!» Disse il giovane, ed uno dei due fantasmi intervenne: «Ci sono cose molto peggiori della morte: fidati. Meglio che tu non le provi sulla tua pelle!»

Avrei dovuto, in separata sede, ringraziare questi due evanescenti amici, il loro appoggio forse avrebbe fatto ragionare questo ragazzino insolente. «Vediamo, che potresti mai farmi di così grave ?Cosa di peggio dell’essere morto a 19 anni!!» Ok a questo punto i discorsi non erano più sufficienti: serviva passare ai fatti, lo capirono anche i due soldati ottocenteschi, che vista la mala parata decisero di levarsi di torno più che in fretta. «Come vuoi» gli risposi con un sospiro che avrebbe indicato a chiunque, non fosse stupido, che ciò che stavo per fare non piaceva nemmeno a me. «Baðβ, raggiungimi per favore.» Il da poco morto mi guardò come a chiedermi con chi ce l’avessi.

Passarono pochi secondi e Baðβ arrivo gracchiando rumorosamente e posandosi sul tettuccio di un vecchio Fiat 900 tutto arrugginito. «Baðβ il nostro nuovo amico non ha idea di cosa lo aspetta, se dovesse prendere la strada sbagliata: mi faresti la cortesia di portarlo a visitare alcuni degli inferni che potrebbero attenderlo?» Il ragazzo mi guardò con fare di sfida: «Non penserai davvero che una bestiaccia, solo perché nera, mi faccia paura vero?» Baðβ spiegò le ali, si sollevò in volo e raggiunta una certa quota, iniziò a scendere facendo dei cerchi concentrici sopra il giovane insolente; ad ogni giro più stretto scendeva sempre di più verso di lui. «Ne riparliamo quando ti riporterà indietro, sempre che tu non gli faccia pensare che meriti di restare direttamente nel mondo che ti sta facendo visitare.» Il giovane stava per rispondere con tono furioso ma Baðβ emise un verso tanto acuto, da quasi forare i timpani, mentre passava nella posizione di attacco, con gli artigli protesi in avanti pronti a ghermire quello sciocco giovane. E così fu: appena gli artigli afferrarono lo spirito, del giovane, sparirono entrambi in una nuvola di, apparente, fumo nero.

Per me passarono pochi secondi, ma per il giovane sicuramente era passato molto più tempo, venendo trasportato, da un inferno all’altro, grazie al potere di Baðβ di spostarsi tra le dimensioni. Il suo viso era chiaramente sconvolto!! Non so in quante diverse dimensioni, e mondi, Baðβ lo avesse trasportato, ma chiaramente erano stati sufficienti per far capire, al giovane, cosa poteva aspettarlo se non si fosse dato un calmata. Baðβ mi guardò come a domandarmi se la sua presenza fosse ancora necessaria ed io gli risposi a voce alta perché il giovane potesse sentirmi: «Ti ringrazio per il tuo, come sempre, prezioso aiuto Baðβ, se servisse trasportarlo definitivamente, ti chiamerò nuovamente, per ora sentiti libero di andare.» Con Baðβ bisognava sempre gestire il tono che si usava, rivolgendosi a lui in modo corretto: era pur vero che mi era stato assegnato dal consiglio dei Cinque, ma restava una creatura potente, a cui non era saggio far pesare che fosse al servizio di chicchessia. Era più saggio fargli sempre capire che il suo potere era di aiuto, quando se ne richiedeva l’uso, così che il suo ego fosse nutrito a sufficienza.

«Adesso mio giovane, e scontroso amico, hai un’idea di cosa ti attende se continuerai sulla strada che stai percorrendo: i mortali non sono tuoi giocattoli. Non puoi usarli per divertirti, non puoi usarli per far scontare loro quella che tu ritieni un’ingiustizia, insomma devi limitare al minimo il tuo interagire con loro. Se perseguirai sulla strada finora percorsa, uno dei mondi che Baðβ ti ha mostrato, sarà la tua la tua destinazione finale: a te la scelta dunque. Come, quasi sempre, io lascio una seconda possibilità a tutti: questa è la tua. Cambia modo di fare, lascia stare gli umani, e piuttosto impiega il tuo tempo per capire cosa ti trattiene qui. Se lo capirai allora potrai risolvere la questione e proseguire per il tuo cammino. Se invece decidi di insistere sulla strada attuale, allora la tua destinazione sarà diventare, probabilmente, un poltergeist, e se lo diventassi, sarei costretto a farti prelevare da Baðβ e farti riportare, questa volta con biglietto di sola andata, in uno di quegli inferni che ti ha mostrato: è questo il mio compito come Maestro del Mattino: far rispettare le regole e provvedere, quando esse vengono infrante. Ed il non interagire con i mortali, specialmente per puro divertimento, direi che è la regola numero uno. Spero di essere stato chiaro e di non dover tornare sulla questione.»

Ci tenevo davvero di essere stato chiaro: far trasferire in maniera definitiva uno spirito in uno degli inferni che solo Baðβ conosceva, non era la mia aspirazione prioritaria. Tutt’altro!! Avrei preferito mi chiedesse di aiutarlo a capire cosa lo tratteneva ed aiutarlo così a proseguire, o restare consapevolmente, come i due soldati austriaci. Tutto questo, però, non è detto che il giovane lo capisse: poteva anche capire tutto alla rovescia, e vedermi come una minaccia alla sua libertà di agire, ed a quel punto sarebbe solo peggiorato, costringendomi, alla fine, ad intervenire in modo definitivo, senza scampo per lui. Una volta lasciato in uno di quei mondi, non c’era ritorno; nemmeno Baðβ poteva portare indietro un’anima una volta depositata in uno di quegli inferni: una volta lasciato li, diventava parte di quel mondo e soggetto alle sue leggi ed al suo signore, chiaramente di solito un demone.

Insomma tutto sarebbe dipeso dal comportamento del da poco morto: se si fosse comportato bene, ci sarebbe stata speranza lui, altrimenti il suo destino era già segnato senza possibilità di redenzione futura. Fortunatamente da quel giorno nessuno dei ragazzi in pattuglia si lamentò più di essere stati importunati dai fantasmi, cosa che sinceramente mi lasciò un certo senso di tranquillità: voleva dire che il giovane defunto aveva capito l’antifona, e che aveva scelto la strada giusta da percorrere. È proprio vero: a volte bisogna sperimentare, sulla propria pelle, che rischi si possono correre se non si cambia strada in fretta, e per fortuna, questa volta almeno, la lezione era servita al suo scopo: Baðβ, come sempre d’altronde da quando lo conosco, era stato utile anche in questo caso, che di norma non lo avrebbe riguardato.

Proseguì tutto tranquillo per i mesi successivi, anche negli anni, beh se escludiamo quella faccenda della bambina con il gelato in mano che canticchiava quella orrenda filastrocca, ma questa è un’altra storia, per un altro momento…



Torna all'indice.

diario/cap-19.txt · Ultima modifica: 24/03/2024 09:40 da 127.0.0.1